C’era proprio bisogno di un nuovo album degli Chic nel 2018? Che senso ha rimettere in pista la più scintillante fuoriserie della disco music senza il suo insostituibile motore, il bassista Bernard Edwards? Inutile farsi troppe domande. D’altronde Nile Rodgers ha già  fatto sapere che dopo “It’s About Time” – e, a quanto pare, un seguito che dovrebbe arrivare nei primi mesi del 2019 ““ la gloriosa ditta verrà  messa a riposo per sempre. Un ultimo giro in pista prima della pensione, quindi; un’occasione per ricordare i “bei tempi” e cavalcare l’onda del successo ritrovato con merito cinque anni fa al fianco dei Daft Punk, che con la colossale hit “Get Lucky” e il trionfo di tutto “Random Access Memories” in generale regalarono una seconda giovinezza al treccinato Rodgers e alla sua leggendaria Fender Stratocaster.

Di quella chitarra prodigiosamente funky che ha fatto ballare mezzo mondo oggi resta ben poco: lo strumento sul quale gli Chic hanno costruito una carriera colma di singoli spaccaclassifiche qui viene letteralmente mortificato da una produzione artificiosa, vuota e soprattutto confusa. Nelle dieci tracce di “It’s About Time”, Nile Rodgers e l’esercito di collaboratori chiamato a fargli un bel lifting artistico provano a seguire le tracce di quasi tutte le tendenze musicali più in voga al momento, senza tuttavia mai imboccare una strada ben precisa.

I groove raffinati ed eleganti del passato ““ veri e propri marchi di fabbrica della disco dal piglio smooth degli Chic ““ vengono qui riproposti in versioni sterili e annacquate. Nessun reduce dello Studio 54 ballerebbe sulle note plasticose delle mediocri “Dance With Me” e “I Dance My Dance”; al massimo potrebbero funzionare come sottofondo impalpabile in una boutique in un centro commerciale, ma anche su questo non metterei la mano sul fuoco. Con il ritornello di “Till The World Falls” Rodgers si gioca la carta nostalgica, citando abbastanza esplicitamente quelli interminabili (ma memorabili) di “Dance, Dance, Dance (Yowsah, Yowsah, Yowsah)” e “Good Times”; peccato mandi tutto in vacca con un inutile intermezzo rappato affidato a Vic Mensa.

La voce nasale di Nao dona un pizzico di sdolcinatezza k-pop a una “Boogie All Night” che, se messa a confronto con l’overdose di autotune di “Do You Wanna Party” o il maldestro sconfinamento in territori R&B/strappamutande alla R. Kelly di “Queen” (con sir Elton John al microfono), riesce a essere meno fastidiosa di quanto si potrebbe immaginare. “State Of Mine (It’s About Time)” vorrebbe ripercorrere le orme di grandi strumentali funk/jazz a firma Chic quali “Sao Paulo” o “(Funny) Bone”, e in alcuni frangenti convince: Rodgers sfoggia la sua incredibile tecnica in uno sfavillante assolo in salsa fusion, mentre il maestro Philippe Saisse impressiona con interventi pianistici dal retrogusto latino.

Purtroppo non è abbastanza per salvare la nave, che letteralmente affonda sotto i colpi di un’orrenda rilettura di “I Want Your Love” (ennesimo crimine perpetrato ai danni della buona musica dalla gigionesca Lady Gaga) e dell’indecifrabile “Sober”, un guazzabuglio pop anni ’90 nel quale Nile Rodgers riporta in vita (senza che nessuno glielo avesse chiesto!) il new jack swing di Teddy Riley, Alvin Superstar e Craig David. Dei vecchi Chic, alla fine della fiera, non resta che qualche debole richiamo e una copertina che vorrebbe fare il verso a quella dello storico debutto omonimo del 1977. Ma anche in questo caso il confronto è impietoso: se lo sguardo delle modelle del primo album trasudava lussuria e seduzione, quello delle loro sostitute sulla cover di “It’s About Time” al massimo potrebbe intrigare qualche appassionato di Photoshop. Un brutto passo falso per un ritorno atteso più di un quarto di secolo.