Siamo arrivati al quarto album solista per Paul Smith dei Maximo Park, laddove il declino di quest’ultimi sembra ormai irreversibile e certificato: e l’impressione è che il cantate di Newcastle questo lo abbia già percepito, e che le sue energie preferite siano incanalate più che altro nei propri progetti solisti; progetti solisti che, a dire il vero, non hanno mai entusiasmato appieno, nonostante la buona verve creativa, l’eclettismo, la volontà di sperimentazione che Smith ha sempre cercato di applicarvici.
Anche questo “Diagrams” segue il percorso artistico sovra menzionato, Smith è un lucido e sensato songwriter, in questo album emerge la sua capacità di essere un po’ crooner, un po’ chansonnier, un po’ frontman, ciononostante non c’è una concretezza ben definita che lo possa far definire un lavoro degno di nota: le esplorazioni artistiche non sono così convincenti, anzi (e non sempre è un difetto) la disorganicità tra strumenti, volumi, ambientazioni e ritmi appare come un meltin’ pot davvero difficile da apprezzare a fondo, nonostante si cerchi con discreta sicurezza di spaziare tra trame più cupe e riflessive verso momenti più solari e diretti [il reticolato di chitarra post grunge di “Public Eye”, le contagiose linee di basso e chitarra di “Hollywood”, “Silver Rabbit” che ci riporta sui tracciati dei (primi) Maximo Park].
“Diagrams” appare chiaramente più come una sommatoria delle pulsioni dell’autore che portatore di qualche concetto intrinseco o di un qualsivoglia fil rouge, evidenzia come la voce dello stesso sia essere ancora il giusto connubio tra vibrante, morbida e profonda, ma la sensazione immediata è che Smith abbia ancora tanto da dire e tanto da dare, ma che il meglio, purtroppo, sia già stato detto e dato.
Photo: Jörg Padberg / CC BY-SA