Mi dispiace veramente un sacco per quelli che non c’erano, giovedì sera, al circolo Magnolia, perchè gli Idles hanno spaccato di brutto. Credo questi siano proprio i termini corretti da usare per descrivere la performance dei cinque da Bristol e sintetizzare in poche parole la serata milanese tanto attesa da molti, compreso il sottoscritto.

Arriviamo da non proprio dietro l’angolo alle 20.30 al Circolo Magnolia, l’area è semi deserta e per assurdo trovo posto proprio davanti al cancello d’ingresso. Dopo i soliti passaggi obbligati che comprendono biglietterie varie e birra propiziatoria, entriamo nel locale ed è subito un pugno diretto in faccia. Al banco del Merchandise ci sono Adam Devonshire e Jon Beavis, bassista e batterista degli Idles che vendono la merce tra sorrisi e scambi di battute con la poca gente presente in sala. Per la serie “Usain Bolt spostati” mi fiondo in macchina a prendere il vinile che mi ero portato sperando in un autografo. Rientro nel locale dopo una media di 9″58 sui 100 metri piani, mi materializzo davanti al banco del merchandise col pennarello in mano, e in un battibaleno mi sciolgo tra qualche pacca sulla spalla, un disco autografato e un paio di foto (ovviamente mezze mosse) con i ragazzi. Mezza serata è presa.

Mentre il gruppo di apertura sta per iniziare inizia ad arrivare gente, il locale si riempie poco a poco e dalla sala del palco gli scelti John danno prova di una totale perfetta combinazione quasi meccanica tra chitarra e batteria. Il duo di Crystal Palace, Sud di Londra, spazia abilmente tra un punk ruvido e a tratti dissonante, graffiante, aggressivo, spettinato, che raggiunge sonorità  al limite del noise/grunge. I due se la cavano benissimo riuscendo ad attirare l’attenzione delle persone in sala anche se la maggior parte della gente è ancora al banco delle birre a rifornirsi per lo spettacolo principale. Sono quasi le 21.40 e la band conclude con un paio di pezzi veramente da panico, la voce del cantante è ormai più prossima al death metal da quanto è gutturale e sforzata. Il cambio palco di circa 20 minuti è rapido e la gente riempie la sala.

Si respira un aria minacciosa, il mosh pit è annunciato, e subito dietro le prime fila dove mi trovo anche io arrivano i soliti quattro armadi minacciosi. La situazione si farà  sicuramente seria probabilmente dalla seconda canzone, forse la solita traccia di apertura”Colossus”, ci farà  respirare gli ultimi secondi prima dell’inizio del pogo feroce. I ragazzi escono, la gente è su di giri, la tensione è alle stelle, Devonshire plettra fortemente sulle ultime corde del basso, distorte, mediose, inferocite, mentre Jon Beavis lo accompagna scandendo i quarti sul Charly come se fosse la sua ultima volta sul palco. Joe Talbot il cantante incomincia una danza nevrotica, avanti e indietro ,da destra a sinistra sul palco, gli occhi sbarrati passandosi la mano sui capelli. La prima parte di “Colossus” è un lento crescendo di cinque minuti abbondanti, che carica, carica all’ennesima potenza il corpo di testosterone. Quando inizia la seconda parte della canzone succede il finimondo. Il pubblico esplode e la massa di gente comincia prima ad ondeggiare dolcemente trasformando il movimento quasi sembrando un mare burrascoso, pieno di violenza. Inizia il pogo, non il più violento della storia sicuramente, ma che coinvolge almeno la metà  del pubblico presente in sala.

Le canzoni vengono scagliate come macigni in sequenza, le orecchie martellate da suoni che non si sentivano da tempo, chitarre violentissime che a volte grazie alle forti dissonanze plasmano le sonorità  rifinendo il sound generale. Ci sono pause brevi tra un pezzo e l’altro dove di tanto in tanto il cantante presenta velocemente il pezzo in arrivo, con la sua rauca voce, a volte quasi afona. Su “Danny Nedelko” mi prendo due cazzotti volanti in faccia, credo per sbaglio perchè il groviglio di corpi era veramente importante, ma sapete una cosa? Ci stavano anche, in quella situazione ci stava veramente tutto, tanto che ad un certo punto mi trovo completamente fradicio e sono costretto a rifugiarmi nelle retrovie per integrare un po’ di sali minerali con una birra fresca.

Ritorno verso il palco, ma è difficile entrare in seconda fila come prima, non importa, mi godo il concerto da un’altra prospettiva che mi conferma l’enormità  di questa band. Tutti perfettamente amalgamati sul palco, gestualità  e mimiche talmente coordinate da risultare quasi all’ unisono, ma al contempo talmente disordinate da rendere perfettamente giustizia allo show. Che band ragazzi, macchine da guerra. Il pubblico è in visibilio, ormai totalmente conquistato, ed proprio qui che la band sfodera il colpo finale invitando due ragazze tra il pubblico a suonare la chitarra, non prima però di averle istruite nel mestiere delle sei corde. Fantastico, uno show che sembra quasi studiato a tavolino, ma sicuramente che non lo è. Le due prima del pubblico tengono una nota costante e i due chitarristi prima si tuffano sul pubblico epoi rotolano sul palco.

Siamo a livelli punk veramente importanti, quando “Well Done” sancisce il punto di non ritorno.Il concerto termina con la feroce “Rottweiler” senza però alcun encore. Peccato, un altro paio di canzoni ci stavano. Abbiamo fatto 30 facciamo 31, magari un paio di denti rotti li portavamo a casa per la formichina. Concerto da 10+.