di Simone Bonetti

“The European Apocalypse Tour 2018” capitanato dalla “strana” coppia Dimmu Borgir ““ Kreator fa tappa all’Alcatraz di Milano, che risponde con un’affluenza più che buona.

Puntuali alle 18 iniziano i Bloodbath, che propongono un classico death-metal scandinavo influenzato dai mostri sacri del genere (Entombed, Unleashed, Dismember) ma penalizzato da suoni che arrivano troppo confusi e caotici alle nostre orecchie. Parziale riscatto nel finale con la cadenzata “Eaten”.

Arriva il turno della band che personalmente considero di punta nel panorama attuale dell’hardcore metal più estremo, gli statunitensi Hatebreed. Con soli 50 minuti a disposizione non dev’essere stato facile per loro scremare la setlist, di canzoni meritevoli di essere date in pasto ai fans pescando tra i loro 7 full-lenght albums ce ne sarebbero almeno una trentina. Tra le prescelte spiccano per la loro resa live “A.D.” e “Looking down the barrel of today” (le uniche tratte dalla loro ultima fatica “The concrete confessional”), “To the treshold” e “Perseverance”, con i loro riff granitici uniti a cambi di ritmo repentini piacevolmente spiattellatici nel cranio, “I will be heard” e “Live for this” che evidenziano la loro attitudine più “punk-hardcore” e stradaiola e l’immancabile inno “Destroy everything”, il cui accordo di basso cerca invano di avvisare l’ignaro ascoltatore dell’arrivo di un “killer riff” che potrebbe lasciare dei morti sul campo. Nel complesso un ottimo live-show, peccato che nei passaggi più veloci non ci potesse essere quella pulizia di suono necessaria per poterli apprezzare al 100%, ma si sa che la resa sonora migliore è sempre riservata agli headliner.

Alle 20.10 puntualissimi come da copione si presentano sul palco i norvegesi Dimmu Borgir, o più semplicemente IL BLACK METAL nella sua forma più completa e originale, certificata dal memorabile live di oltre 100 musicisti contemporaneamente sul palco con la Radio Orchestra norvegese affiancata dal coro di musica da camera Schola cantorum, svoltosi nel 2011 ovviamente a Oslo.

Si inizia con l’opener “The unveling” seguita da “Interdimensional summit”, le prime due tracce della loro ultima fatica “Eonian”. Il cantante Shagrath ci conferma che si può essere carismatici senza “sbattersi” troppo sul palco, mentre il resto della band stupisce per professionalità  e compostezza. Si continua con “The chosen legacy”, ma è con “The serpentine offering” che lo show tocca forse il suo picco più alto, grazie all’epicità  unica che trasuda quel pezzo. Altri brividi veri ce li regala “Gateways”, l’omonima “Dimmu Borgir” è la più orecchiabile e se vogliamo “commerciale” del lotto, con “Council of wolves and snakes” ci rituffiamo in una sorta di caos calmo che ci conduce alle più datate “Puritania” e “Indoctrination”. Dal nulla arriva “Progenies of the great apocalypse” ed è godimento puro misto a delirio, autentica pietra miliare al pari della conclusiva “Mourning palace”, opener del loro album forse più bello “Enthrone darkness triumphant”. Lo show si conclude con la band che saluta a lungo il pubblico sulle note della strumentale “Rite of passage”, dopo 70 minuti di puro incanto black-epic-symphonic-atmospheric-metal. CLASSE PURA.

Alle 21.50 tocca ai tedeschi Kreator, band che calca i “peggiori” palchi metal del globo terracqueo da oltre 30 anni e che sembra però ancora ben lontana dall’idea di andare in pensione. Sarò sincero, non sono certo il loro fan più accanito (eufemismo) e quindi il mio giudizio non può che esserne influenzato. La loro proposta trash-speed anni ’80 non mi dà  particolari emozioni, anche se qualche guizzo ce lo regalano sicuramente “People of the lie”, “Satan is real”, “Phantom antichrist” e “Phobia”. Da segnalare la bellissima scenografia sul palco, forse la cosa più bella della loro esibizione. Mi scusino eventuali fan del gruppo tedesco, ma per il sottoscritto l’attesa (ben ripagata) e l’interesse erano tutti per Dimmu Borgir e Hatebreed.