Se siete degli inguaribili nostalgici dell’emo di una volta ““ quello della scuderia Vagrant Records, tanto per intenderci ““ ecco qui un supergruppo che sembra essere nato apposta per farvi contenti. Nei Radar State ci suonano Matt Pryor e Jim Suptic dei Get Up Kids e Josh Berwanger dei The Anniversary; tre assoluti protagonisti di quella bella scena indie che, a cavallo tra la fine degli anni novanta e i primissimi duemila, dimostrò al mondo intero che anche ragazzi cresciuti a punk rock e hardcore potevano essere dotati di una spiccata sensibilità .

Più che essere un album d’esordio, il loro “Strays” è un piccolo viaggio nel passato, quando a una band bastavano ritornelli orecchiabili e chitarre elettriche sempre in bella evidenza per conquistare i cuori di orde di giovani. Alle tredici tracce in scaletta non manca nessuno di questi elementi; se fosse uscito nel 1999, non avrebbe fatto alcuna fatica a trovare la via per i vertici delle classifiche. Purtroppo per i Radar State, però, ci troviamo nel 2019, e la loro ricetta a base di robusto pop punk con qualche richiamo più o meno deciso all’emo che fu suona incredibilmente datata.

è un bene o un male? Sta a voi deciderlo: se siete abbastanza maturi da ricordare bene l’epoca in cui Pryor e Suptic ci deliziavano con i classici “Four Minute Mile” e “Something To Write Home About”, qui troverete pane per i vostri denti. Certo, qui vi sono pesanti influssi power pop e indie rock che ai Get Up Kids dei primordi probabilmente mancavano. C’è anche una marcata vena punk che rende l’album quanto di più ruvido e diretto i tre abbiano mai scritto e registrato con i loro gruppi d’origine.

Buona parte di “Strays” viaggia decisamente veloce; a tratti si ha addirittura l’impressione che il quartetto (alla batteria, mi ero dimenticato di scriverlo, c’è Adam Phillips degli Architects) voglia giocarsi la carta dell’hardcore melodico. A questa categoria appartengono le potenti “What’s a Rebel”, “Defender”, “Good Catholic” e soprattutto il furioso minuto e quaranta di “Self Hurt Guru”.

I trascorsi emo riaffiorano in maniera davvero preponderante solo in alcuni frangenti, come nei ritornelli della title track e di “Summer of Sundays” o nella ballata acustica “Play For The Game”. I tratti distintivi del genere vi sono tutti e attraversano l’opera in lungo in largo; l’attraversano però come un fantasma un po’ confuso, alla ricerca di una nuova identità  o di un piccolo spazio di modernità . Da personaggi del calibro di Jim Suptic, Matt Pryor e Josh Berwanger era lecito attendersi qualcosa di più emotivo ed emozionante.