Il live di Daniel Blumberg all’Auditorium Spin Time (organizzato da Unplugged In Monti) è un gioco di addizioni e sottrazioni: non c’è mai eccesso, non esiste una regola e, in una sera di metà  marzo, la complessità  diventa solo un riflesso prodotto dalle azioni più semplici della storia come fumare, sbattere i piedi, trascinare una sedia o pizzicare una corda.

Un vortice, un fiume di suoni che si intrecciano nello spazio architettonico dell’auditorium come parole: ecco cos’è lo stream of consciousness di Daniel Blumberg che, toccando pianoforte e chitarra durante il live, aleggia ovunque sul palco e in platea.

Il suo pensiero è un flusso che si attacca al suono di ogni singolo strumento del suo trio sul palco.

I componimenti essenziali si aprono e snodano attraverso dei canali emotivi diversi e il live, nella sua totalità , produce un innalzamento delle capacità  nella percezione umana. C’è una continua sfida all’attenzione, alla capacità  uditiva, alla percezione: il primo applauso arriva dopo un’ora e dieci, il pubblico effettivamente è stato troppo impegnato ad immedesimarsi in ogni spazio sonoro prodotto dal trio per “perder tempo” ad applaudire.

Il tono è a tratti solenne, sui pezzi d’archi è come incontrarsi/scontrarsi continuamente con le atmosfere cupe di Warren Ellis, che tuttavia vengono spezzate da intermezzi di un’ironia sognante e leggera.

La dinamicità  del live è nell’incredibile onestà  che Blumberg mostra sempre nelle sue composizioni, nei suoi sguardi, nel suo tocco, lieve e posato, ad ogni strumento.

Il concerto è una partita di scacchi: vive di momenti, di attese e indugi, gioca su dei fili delicati e difficilissimi da descrivere.

A colpire del live è anche la funzione del palco che dalle prime battute diventa uno strumento, simile ad una percussione. Le travi sono una cassa di risonanza anche per i passi e per lo strepitio degli strumenti che vengono trascinati e accompagnati a spasso per il palco.

Il vocabolario musicale di Daniel è fatto di stringhe di suono essenziali: scarpe che battono o sedie che creano dei varchi temporali sul legname duro dello stage dell’auditorium.

Ogni crepa e granello di polvere del palco rivive nelle impressioni lasciate dal trio, è come se, incontrando una bella signora anziana piena di rughe, ogni piccola piega sulla pelle iniziasse a parlare e a raccontare storie in una chiave avanguardistica.

Il trio è come Pollock davanti ad una tela, il legno è testimone di un dripping (sgocciolatura caratteristica del pittore) musicale unico.

Lo spettacolo è un unicuum, irripetibile, dove tutto funziona in relazione al momento, all’attimo.

Daniel Blumberg in live si può riassumere, prendendo in prestito il titolo di un’opera di Monet: “Impressione sole nascente”.

[ foto di Sara Terreni ]