Ci sono artisti e band che per raggiungere la fama, anche se discreta, hanno bisogno di anni, alcuni album pubblicati o del classico colpo di fortuna, magari un brano indovinato, scelto per uno spot pubblicitario o la partecipazione ad uno degli ormai collaudati talent show. I Badflower invece hanno raggiunto la grande popolarità  sin dal singolo “Animal”, tratto dal primo EP del 2016 “Temper” che raggiunse il milione di ascolti su spotify dopo soli pochi mesi dalla pubblicazione. Questa popolarità  non fu frutto del caso o del colpo di fortuna di cui si diceva prima. Il singolo venne ben recepito dagli addetti ai lavori (con conseguenti tour ed inviti a vari festival) ed in particolar modo dalle radio che avendo fiutato l’enorme potenziale della band non esitarono a proporre a ripetizione i loro pezzi. I successivi singoli che hanno preceduto “Ok, I’M SICK”, il loro debut album, hanno avuto un altrettanto successo in fatto ascolti.

Il loro è un sound che varia dal blues rock (“Animal” per tornare al brano che li lanciò) all’hard rock, con brani che possiamo ricondurre al pop-rock alternativo americano degli anni novanta (quello post grunge). Per questo motivo la band di Los Angeles fu presto posta sotto la luce dei riflettori e Josh Kats, Joey Morrow, Anthony Sonetti ed Alex Espiritu indicati come coloro che avrebbero riportato il Rock agli antichi fasti. Ma Josh Kats, leader del quartetto californiano ha preferito mettere le cose subito in chiaro dichiarando: “Non siamo una rock band. Non stiamo riportando indietro il rock. Puoi provare a categorizzarci, ma continueremo a fare arte, a nostro piacimento, senza intromissioni“. E’ questo che colpisce di questa ancor giovane band e di questi ancor giovani artisti: la coerenza ed il coraggio di esprimere quello che veramente sentono e percepiscono.

I tredici brani di questo disco non ci raccontano storie di ragazzini che fumano erba durante il party di fine corso, o di amori mai iniziati. I Badflower toccano argomenti delicati come il suicidio (“Ghost”), l’ansia e la conseguente dipendenza da farmaci (“x ANA x”), “Heroin” è invece un gioco di metafore tra la donna e la droga. “24” è l’età  in cui si comincia a guardare al futuro con più consapevolezza ma anche timore per il peso delle responsabilità . Paura di crescere ed invecchiare anche in “Promise me” (“Promise me we’ll never grow up, I don’t wanna let go, I wanna stay young“).

L’immancabile pezzo contro Trump (“Die”, qui le sonorità  sono più metal) e contro gli allevamenti intensivi (“Murder Games”) con la strofa parlata “They must look at us like we are devils,We cut things off their bodies, We cut the beaks off of hens, We cut testicles out of baby pigs, We cut them up into pieces, What humans do to animals is completely evil“. “Daddy” tocca un altro argomento delicato, la violenza domestica.

Scrivere in maniera così schietta e trasmettere le proprie idee senza filtri e timori è e sarà  un punto di forza di Kats e della band. Anche se i testi e le storie che vengono narrate spiccano per profondità  ed impatto emotivo non sottovalutiamo l’altro lato del prodotto, quello musicale. I Badflower sono ottimi professionisti che sanno ottenere il massimo dai loro strumenti, sia in tecnica (saper suonare uno strumento) che in sensibilità  (capire quando e come). Josh Kats interpreta i brani con passionalità  e credibilità  indiscusse dimostrando di possedere una voce capace di svariare ampiamente, dai toni dolci e delicati fino al drammatico urlato. Teniamoceli stretti questi Badflower, non lo ammetteranno mai ma il Rock ha bisogno di gente come loro.