Il Teatro Dell’Antoniano ospita stasera un concerto di quelli molto importanti, quello dei Low (già  sold out da un paio di mesi) che, dopo la data dello scorso anno a Milano, ritornano in Italia con tre nuovi appuntamenti a supporto di “Double Negative”, il loro dodicesimo LP, uscito lo scorso settembre per Sub Pop Records.

Come già  scritto in fase di recensione, il nuovo disco, prodotto da BJ Burton (Bon Iver, Eminem, Doe Paoro, James Blake, The Tallest Man On Earth) e registrato presso l’April Base di Eau Claire, lo studio di proprietà  di Justin Vernon, è parecchio difficile da interpretare e digerire e prosegue su un cammino nuovo, già  in parte iniziato con il precedente “Ones And Sixes”: risulta molto interessante, quindi, vedere come lo storico trio di Duluth, Minnesota sia capace di trasformarsi anche in fase live.

Sono le nove e mezza precise, quando Alan Sparhawk, Mimi Parker e Steve Garrington si presentano sul palco bolognese: a riflettere l’atmosfera cupa del recente album, anche le luci rimangono molto basse, come accadrà  anche nei novantacinque minuti successivi.

E’ “Quorum”, la opening-track di “Double Negative”, che si occupa di aprire anche il concerto di oggi: il rumore intenso e distruttivo, però, non sovrasta le voci candide dei coniugi Sparhawk, che riescono a far emergere la loro dolcezza all’interno di un panorama sonoro assai duro.

Dopo un inizio piuttosto pesante arriva una pausa e lo spazio per un po’ di luminosità  ““ quantomeno a livello sonoro ““ con “Holy Ghost”, unico estratto stasera da “The Invisible Way” (2013) stasera: la voce angelica della batterista statunitense, accompagnata da una strumentazione minimale, riposa le orecchie del pubblico felsineo e ci porta verso spazi celestiali.

“Tempest” parte con un umore piuttosto riflessivo, ma si costruisce pian piano ed è ancora una volta un pesante strato di noise a prendere il sopravvento, non lasciando alcun spazio alla luce; la seguente, “Do You Know How To Waltz”, ci trasporta poi verso il buio totale, con le voci di Alan e Mimi che vengono ricoperte da un rumore sempre più forte, prima che una lunghissima, dura e dolorosa parte strumentale annienti tutte le possibili voglie di luce.

Abbiamo bisogno di un altra pausa per riemergere da quello stato di oscurità  totale e la band di Duluth lo sa perfettamente e la vecchia “Lazy”, con i suoi sentimenti e una grande delicatezza, ci riporta a respirare e a vedere colori di cui per parecchi minuti avevamo ormai scordato l’esistenza.

Decisamente inquietante “Poor Sucker”, che, dopo la sua visione calma, diventa più cattiva e oscura, mentre “Nothing But Heart”, forse la perla più bella della serata, si apre con una chitarra rumorosa e intensa, ma lascia presto spazio alla caratteristica migliore dei Low, il cuore: un’emozione di quelle uniche, di quelle che spaccano il nostro arto più importante in maniera viscerale.

Il sapiente uso dell’elettronica, accompagnato dalle belle linee di basso disegnate dall’esperta mano di Steve Garrington e dalle delicate percussioni di Mimi Parker, fanno sì che il falsetto utilizzato da Alan in “Fly” la renda qualcosa di assolutamente speciale e incredibilmente di impatto sulla folla emiliana; “Sunflower”, infine, seppur più buia dell’originale, chiude il concerto con sentimenti che arrivano dritti al cuore.

Una serata indimenticabile che ha visto il trio del Minnesota portare sul palco la sua decisa trasformazione, ma, come disse un amico e collega riferendosi al terzo LP di Bon Iver, “22, A Million”, non è importante il modo con cui trasmetti le emozioni, l’importante è saperle trasmettere e i Low hanno dimostrato anche oggi che, pur nella loro visione negativa e scura, qualsiasi mezzo sonoro vogliano utilizzare, riescono a conquistare in maniera viscerale l’anima di chi li ascolta, sia su disco, ma ancora di più dal vivo.