Nick Cave and The Bad Seeds non sono sempre stati i grandi come li conosciamo oggi, anzi, la loro è stata una genesi lenta e graduale che, tuttora, non è del tutto conclusa.

In origine, c’era una semplice cover band di studentelli australiani. Nel corso degli anni ’70, più e più membri entrarono ed uscirono dal gruppo seguendo un unico filo conduttore: la sperimentazione, sorgente sconfinata d’ispirazione per l’espressionismo di Nick Cave.

Così, dalle ceneri di una formazione schiacciata da tensioni interne, risorsero un poeta consolidato, e The Bad Seeds, ovvero, Mick Harvey, Barry Adamson e Blixa Bargeld.

Il loro debutto in studio avvenne nel 1984 con “From Her To Eternity” ma il successo arrivò ben dieci anni dopo: “Let Love In” a metà  fra il punk gotico delle origini e l’intimismo futuro di “Boatman’s Call” li avvicinava ad un pubblico più vasto. Di lì a poco il gruppo si sarebbe esibito al Lollapalooza e avrebbe registrato “Murder Ballads” coinvolgendo la pop star Kyle Minogue.

Ma “Let Love In” non è un disco da rispolverare, la sua accoglienza è tuttora viva e positiva: il pezzo centrale del disco, “Red Right Hand”, è diventata la colonna sonora della celebre serie televisiva “Peaky Blinders”. La figura evocata da Nick Cave ci restituisce perfettamente un immaginario di morte e pericolo perfetto per un gangster drama.

Ma Cave ha troppo sofferto lo stereotipo del poeta cupo e disperato e “Let love In” è molto più di questo. Il nostro Baudelaire australiano esplora l’amore in tutte le sue sfaccettature, anche quelle più macabre, sfiorando temi come la morte e Dio.

In uno schema circolare, l’album finisce con la variazione del pezzo iniziale “Do You Love Me?”: in apertura abbiamo un amore tormentato (quello che Cave coltivava in quegli anni per la brasiliana Vivianne Carneiro), in chiusura l’iniziazione pornografica di un ragazzino. In quest’ultimo pezzo fa capolino il violino di Warren Ellis, il tassello mancante dei Bad Seeds, il cui contributo sarà  essenziale in tutta la loro successiva produzione.

Relazioni malate e morbose ricorrono nel tema dell’abuso, centrale in “Loverman”: una lenta discesa nel baratro della violenza segnata da un ritornello che richiama i vecchi The Birthday Party, presenti come sonorità  anche in “Jangling Jack” e “Thirsty Dog”.

La spietata ricerca di una vittima si tramuta in seduzione. Ecco allora i toni elegiaci e il richiamo all’immaginario religioso (eredità  che Cave riceve da Leonard Cohen) con riferimenti al dolore, alla morte e alla figura del diavolo. Nessuno può resistere all’amore, lascialo entrare, ci sta dicendo Cave, poeta vate che, come suggerisce la copertina del disco, s’immola a questo sentimento contrastante e abominevole: “But never has my tormentor come in such a cunning disguise” (“I Let Love In”).

Vi è anche un lato più romantico, se così si può dire per i Bad Seeds, in due lenti: “Nobody’s Baby Now” (l’organo strizza l’occhio al Dylan di “Nashville Skyline”), “Ain’t Gonna Rain Anymore”. Il mito di un Cave satanico è doppiamente sconfitto con l’emergere dei toni più struggenti ed evocativi della sua poesia che non è priva, tra l’altro, di ironia: in “Lay Me Low” il cantante immagina le circostanze in cui verrà  appresa la notizia della sua morte, scherzando sull’ipocrisia di quelli che vogliono definirsi suoi cari.

Nulla manca in questo disco e il ricco apporto sta proprio in anni e anni di sperimentazione e ricambio dell’organico musicale: da Melbourne all’esperienza berlinese (come ce la racconta Wim Wenders ne “Il cielo sopra Berlino”) “Let Love In” sancisce la maturità  di una formazione che, attraversando decenni, ha segnato gli anni ’90 e ha ancora molto da regalarci.

Nick Cave and The Bad Seeds – Let Love In
Data di pubblicazione: 18 aprile 1994
Tracce: 10
Lunghezza: 48:18
Etichetta: Mute Records
Produttori: Tony Cohen

Track Listing:

1. Do You Love Me? (Part 1)
2. Nobody’s Baby Now
3. Loverman
4. Janglick Jack
5. Red Right Hand
6. Let Love In
7. Thirsty Dog
8. Ain’t Gonna Rain Anymore
9. Lay Me Love
10. Do You Love Me? (Part 2)