Ride: dieci canzoni per restare a galla nell’oceano dello shoegaze.

I Ride, che hanno appena annunciato di essere al lavoro sul nuovo album, rappresentano, probabilmente, una delle pietre miliari dello shoegaze, eppure il loro sound così tanto british affonda le radici sopratutto negli anni ’60 dove le Rickenbacker creavano il jingle jangle e la furia devastante degli Who e degli Small Faces mostrava il lato più grezzo del pop inglese. Poi mettiamoci dentro il noise di stampo Sonic Youth  e avremo, a mio parere i più grandi insieme con Slowdive e MBV.

10 bis (Bonus Track) – NATURAL GRACE

1994, da “Carnival of Lights”

Una band che sbanda di brutto. Siamo in pieno brit pop e di lì a poco gli Oasis affonderanno il colpo facendo piazza pulita dello shoegaze con “Definitely Maybe”. Intanto si sono già  palesati gli Stone Roses, implosi anche loro, i Blur e i Suede. “Carnival of Lights” è un album doppio nel senso che le due facciate sono scritte in modo indipendente una da Mark Gardener e una da Andy Bell e il risultato si vede. Disco frammentario e incoerente, ma qualche perla la si trova lo stesso. “Natural Grace” è una ballata così tanto sixties, twee pop e intrisa di folk elettrico. Un ultimo colpo di coda prima della fine con “Tarantula”.

10 – ALL I WANT

2017, da “Weather Diaries”

Perchè ho inserito questo brano? Non è una chicca e nemmeno un pezzo dimenticato. Ho trascurato “Tarantula” e “Carnival of Lights” perchè li ritengo dei brutti album a parte una manciata di pezzi. “Weather Diaries” non ci fa certo gridare al miracolo, ma possiede una cosa; possiede dignità  e stile, due elementi propri di un quartetto ormai di una certa età  che ha fatto una cosa che non è da tutti: si è rimesso in gioco senza scimmiottare quello che un tempo erano i Ride e questo è degno di stima. “All I Want” ha un andamento piacevole, la canti dopo due secondi e quei chitarroni a cui tanto ci avevano abituato Mark e Andy, ci sono ancora. Li senti quando parte il ritornello e ne assapori il suono, così raffinato mentre il synth lavora creando un tappeto esotico e sognante.

9 – DRIVE BLIND

1990, da “Ride ep”

Diamante grezzo, tratto dal primissimo lavoro discografico della band, che unisce echi di alternative rock e sonic sound che caratterizzerà  presto la band. Brano psichedelico e ossessivo.

Come sempre, quando faccio una top ten, riservo sempre due o tre posti per qualche chicca.

8 – SIGHT OF YOU

1992, da “Waves: Radio 1 Sessions: 1990-94”

Una cover, non una semplice cover però. Un pezzo, già  di suo bellissimo, dei mitici Pale Saints che qui viene “Rideizzato” a dovere perdendo l’aspetto trasognato dell’originale per diventare più sonico.

7 – TWISTERELLA

1992, da “Going Blank Again”

Pop purissimo, così retrò eppure moderno, così ruffiano, ma allo stesso tempo troppo rock.

6 – LEAVE THEM ALL BEHIND

1992, da “Going Blank Again”

Prodotto da Alan Moulder, “Going Blank Again” proietta i Ride in classifica dando ai quattro ragazzi un pò di notorietà .   Suoni brillanti, da ascoltare a tutto volume, scrittura ormai matura e perfettamente bilanciata tra i due leader per un album ancora di alto livello. Iniziare poi, con un pezzo di otto minuti, può farlo solo chi ha piena consapevolezza dei proprio mezzi. “Leave Them All Behind” è una lisergica carovana di cori brit e chitarroni mastodontici impreziositi da un assolo di Andy Bell che vorresti non finisse mai. Brano imprescindibile.

5 – UNFAMILIAR

1991, da “Today Forever ep”

Il sound è quello di Nowhere: avvolgente, rumoroso, saturo di feedback e un basso pulsante sempre in primo piano. Un pezzo apocalittico, manifesto dello shoegaze da far ascoltare a chi vuol capire cosa sia il genere.

4 – IN A DIFFERENT PLACE

1990, da “Nowhere”

Non esistono solo distorsioni e sciabolate sonore. “In a Different Place” ci mostra il lato più pop e orecchiabile con una ballata di rara perfezione cantata magistralmente da Mark Gardener.

3 – DREAMS BURN DOWN

1990, da “Nowhere”

Quando non sapevo ancora che direzione dare alla mia musica, pur avendone chiaro l’umore, un amico mi fece sentire questo pezzo in sala d’incisione e dall’attacco della batteria compresi tutto. La cassa riverberata a palla, quei piatti infranti come lastre di vetro e le chitarre saturatissime di delay. Il capolavoro assoluto a mio parere della band di Oxford, il manifesto dello shoegaze, l’onda dell’oceano sulla copertina che ti investe, la perfetta sintesi di pop e noise. Immenso.

2 – POLAR BEAR

1990, da “Nowhere”

No, qui non si scherza. Un tremolo che ti ammalia, Mark che crea vocalmente un disegno, sospeso in un mare di suoni, mentre Lawrence Colbert e Steve Queralt montano ritmicamente dandoti l’impressione di stare lì lì per esplodere.

1 – SEAGULL

1990, da “Nowhere”

Un basso nevrotico e pieno, il feedback che monta e la batteria che si apre creando un vortice mentre le voci di Andy Bell e Mark Gardener si rincorrono con una melodia assolutamente pop che si leva sul caos. I Ride si presentano così.