Nono album in studio  per i fratelli chimici, ormai una sorta di divinità  dell’elettronica più edibile e ballabile.

Certo, gli ultimi lavori non hanno brillato, e la potenza di fuoco di Rowlands e Simons fa grande affidamento sul repertorio consolidato e sui live, quelli sì, a livelli di assoluta eccellenza.

Ma un passo avanti, sembrava davvero necessario. E quale migliore passo avanti, di uno indietro?

Perchè “No Geography”, come ampiamente dichiarato ed anticipato, voleva essere un ritorno alle origini, ad un  corredo sonoro  minimale, retrò, semplice quanto diretto: beat, campionature, sample, drum machine, è questo l’armamentario di base.

“Eve of Destruction”, in questo senso, è una manifestazione di intenti: la voce modificata, robotica, della norvegese Aurora fa il paio con la rapper nipponica Nene in apertura. Nessun nome altisonante, a questo giro. Una linea di basso semplice, quanto contagiosa, qualche colpo di laser, un’atmosfera che sa tanto di anni 80, di lounge, di funk, di ambient, tremendamente acid house come ai bei tempi. E quelle percussioni tribali, nel finale, che aprono la porta a “Bango”, ed al suo incedere incalzante tra tamburi e limpido scampanellare delle marimba.

La title track “No Geography” è  un viaggio sintetizzato e onirico nel cielo, mentre “Got to Keep  on” (il video è di Micheal Gondry, già   dietro “Star Guitar” e “Let Forever Be”) è un altro carpiato  all’indietro lungo qualcosa come 20 anni, dal buon groove. “Gravity Drops”, con le sue percussioni e nervose scariche di  organo  sintetico (à  la Aphex Twin, verrebbe da dire) è ricercatamente ipnotica, di certo non indimenticabile. Idem per la successiva sorniona, da psichedelia in  cristalli,  “The Universe Sent Me”.

“We’ve Got to Try” piacerà  ai fan della F1 nella sua versione accelerata usata nella pubblicità  di lancio della stagione 2019, ma è robbetta, così come “Free Yourself”, per quanto le sonorità  provino a riattivare col rumore techno-house i tessuti nervosi, con l’immancabile salto all’indietro verso i primi anni 90: quelli dei rave, che vengono riesumati simbolicamente nella mefistiaca “MAH”, prima del tempo dei saluti  con “Catch Me I’m Falling”.

Il viaggio coi The Chemical Brothers non va mai rifiutato: è questione di rispetto. Di converso, per quanto probabilmente ci sarà  ancora più carne da mettere sul fuoco delle performance dal vivo, la cui resa sarà  verosimilmente di gran qualità , quando le aspettative sono alte e non ci sono momenti degni di particolare nota è facile e comprensibile restare un po’ delusi.