Vi ricordate i Fat White Family, anticapitalisti, provocatori, quelli che suonavano nell’Hell Stage di Glastonbury alle 5 del mattino, quelli che perdevano denti durante i live dalle botte che si tiravano, quelli che mostravano il pene alla prima occasione possibile, gli antiborghesi che sembravano avere bevuto il sangue di gente come (il loro idolo) Mark E. Smith?

Non dimenticate chi sono e quello che facevano.

Perchè se “Song for Our Mothers” poteva essere un indizio difficile da interpretare, “Serfs Up!” è una prova. Schiacciante.

E tutto questo nel periodo in cui il punk inglese sta vivendo un momento d’oro, trainato da gente come Idles, Shame e recentemente da un grande album come quelli dei Fontaines D.C.: ma i Lias Saoudi e sodali sono così irriverenti (e stronzi) che decidono di fare tutt’altro.

Le note al disco riportano che “Serfs Up!” è un’opera lussureggiante e magistrale, lasciva e personale, tropicale, simpatetica e monumentale>:  dove gli aggettivi positivi e grandiosi (lussureggiante, magistrale, monumentale) suonano, agli orecchi di chi li ha conosciuti a tempo debito,  quasi come una gran presa di culo.

Scordate, quindi,  le chitarre ruvide, il violento disordine, le caotiche allusioni (che poi tanto allusioni, non erano) sessuali e politiche, i modi provocatori e dissacranti: i Fat White Family, col consueto stronzo nichilismo, si sono Alex Turner-izzati e hanno voluto mettere sul piatto il loro “TBH&C”, almeno pare: via le chitarre, i rantoli, la sfacciataggine, la sfattataggine, dentro i synth, le campionature,  il digitale, i violini, il piano, gli ottoni jazzeggianti, i cori, dei giri di basso sinuosi; decidono di vestirsi più da Moby e da Pet Shop Boys che da The Fall, ma con  un’eleganza noir, dannata e,  verrebbe da dire, quasi borghese. Il punto è che ci riescono pure.

I Fat White Family sono un virus moderno: colpisce, ed  è così intelligente che appena si rende conto che qualcuno ha trovato la cura, muta di forma e di sintomi.

La vera prova è quindi riservata ai prossimi live: vedremo se tireranno ancora fuori le palle (in senso non metaforico) o  terranno la maschera, prendendoci ancora in giro con tale stile. Come chi  prende in giro l’estabilishmententrando dalla porta di servizio di una festa riservata all’èlite, col vestito buono rubato chissà  dove e con una strana, innata naturalezza nell’ostentare modi da salotto, mentre mangiano tartine a sbafo e pisciano di nascosto nella coppa dell’analcolico. Con quel coraggio e quella sfacciataggine tali che nessuno ha lo stesso coraggio di buttarli fuori dalla porta principale, come dovrebbe essere.

Foto Credit: Ben Graville