“Father of The Bride” racconta e parla al nostro pianeta malato, stanco e abbastanza puzzolente. La “Big Blue”, raccontata nel disco, è una “Blue Marble” che nella sua tremenda fragilità  ci racconta una storia che si sviluppa in un album e nel pensiero di un artista come Ezra Koenig.

Le chitarre sono soffuse, aeree ma con melodie precise che da subito, dai primi vagiti, ci fanno capire come per i Vampire Weekend sia impossibile scrivere pezzi brutti o inutili nello storytelling di un album. La fuoriuscita di Rostam, che comunque è attivo collaboratore in pezzi del disco, non ha cambiato di una virgola la geniale capacità  di cogliere la visione di un sound.

Ogni canzone pizzica l’aria, l’ozono e l’universo intero.

I Vampire Weekend sono in continua tensione verso la fede, la ricerca di un songwriting impegnativo ma limpido, alla portata di tutti, come mostrano in pezzi come “Married In a Gold Rush” o “Jerusalem, New York, Berlin”, che attraverso un dialogo tra vari accordi di pianoforte traccia una linea che lega storie, epoche e idee, non solo in ambito musicale, ma politico.
L’acutezza e la versatilità  del saper costruire una forma estetica e artistica che sappia parlare al mondo con una vocazione espressamente pop.
“My Mistake” e “Harmony Hall” giocano a calcolare la distanza tra il mondo e il suo caos, viene misurato il polso del globo senza mai essere troppo catastrofici, cinici e noiosi. I Vampire Weekend in ognuno dei 18 brani cercano di decostruire, sia concettualmente che semanticamente, l’idea di un caos fine a se stesso applicato al mondo.
In “Father of the Bride” c’è un’idea alta dell’umanità  stessa e della sua concezione di vita. Il compito e la forza da trovare e nel reinventarsi, con stile e creatività , esattamente come ha fatto Koenig, dopo l’uscita di scena di Rostam.

L’essenza, il paradosso tanto poetico quanto tragico della vita stessa è cantato in “Harmony Hall”: “I don’t wanna live like this, but I don’t wanna die“.
Esattamente in questo circolo di significati si muove questa band che, in questi anni, ha dimostrato di essere solida, unica. La forza è nello sviluppare un racconto, un’idea e una visione del mondo che si trasformano in uno storytelling che parla e si coniuga al presente.

Un saggio interessantissimo uscito, su Lit Hub, si chiede: “Cosa significherebbe vivere in un mondo senza storie?“, le canzoni dei Vampire Weekend ci illustrano un opposto esatto, raccontandoci un mondo svilito e distrutto ma pieno, ricco di storie e in un certo senso di futuro.

Riprendendo una frase di Flaubert, contenuta nello stesso saggio appena citato: I have always tried to live in an ivory tower, but a tide of shit is beating at its walls, threatening to undermine it. La merda del mondo dunque spinge e costringe tutti a sporcarsi le mani, i Vampire Weekend però hanno la capacità  di trasformare, come eterni Re Mida, tutto in oro.

Credit Foto: Monika Mogi