di Koc

“Dolor y gloria” è il film più autobiografico di Pedro Almodovar. Il protagonista, Salvador Mallo, è un regista in grande crisi, soprattutto fisica, frenato artisticamente da molteplici dolori che ne impediscono l’attività .

Almodovar ha voluto l’amico di sempre, Antonio Banderas, ad interpretare colui che effettivamente è se stesso. Scopriamo così, l’esistenza dolorosa e gloriosa del regista, in un excursus lungo una vita.

La recitazione degli attori è molto teatrale, con gesti ampi. E’ una pellicola fatta di espressioni e ricordi, esplicitati nei continui flashback sull’infanzia di Mallo. I colori sono forti, come di consueto per Almodovar; la fotografia è semplicemente meravigliosa e alcune chicche, come le inquadrature di Penelope Cruz in versione casalinga degli anni ’50, non possono che ricordare Sofia Loren ne “La Ciociara”.

La linea narrativa di questa storia è una lunga mediazione con la sofferenza: prima una battaglia contro di essa e, alla fine, una analisi sostenuta dai ricordi che porta ad accettarla. Il dolore viene esplicitato in vari modi, anche iconici. Come ad esempio avviene per un vecchio film di trentadue anni prima, che consente a Mallo di reincontrare un suo vecchio attore, Alberto Crespo (Asier Exteandia), con cui aveva rotto ogni rapporto. Il regista aveva voluto dimenticare quel lavoro, perchè insoddisfatto della recitazione di Crespo, ma ora il film è tornato di moda e i due devono fare pubbliche relazioni assieme. Purtroppo, l’ex pupillo introduce Mallo al consumo di eroina, cui il regista diventa dipendente non appena si rende conto che la sostanza gli allevia i continui malesseri.

Nel frattempo, i flashback ci mostrano il giovane Mallo e sua madre, costretti ad andare a vivere in una casa grotta, dal cui fondo emergono metaforicamente i talenti del futuro artista. Sono davvero impagabili le considerazioni che scaturiscono da questi momenti, come quando il piccolo Mallo spiega ad un suo alunno, adulto ma analfabeta, che ciò che sta descrivendo è ““ in pratica – la Spagna: “Una, Santa, Cattolica ed Apostolica“. Una stoccata potente all’ipocrisia del franchismo e un tremendo j’accuse verso il clero, date le brutte esperienze vissute da Almodovar con i salesiani.

Nei ritorni al presente i dialoghi sono sempre perfetti, armoniosi e crudamente – quanto incredibilmente – onesti. Sono delle confessioni. E sono proprio questi dialoghi, innestati nella banalità  della vita di tutti i giorni e in contrasto con i colori accesi, a lasciar passare in modo diretto e feroce il dolore, che ti penetra come una lama: il dolore fisico, il dolore di vivere, dei ricordi di amori finiti male. Esperienze che abbiamo vissuto tutti. La confessione è la sostanza delle interazioni fra i protagonisti e, al tempo stesso, l’unicamedicina che guarirà  Salvador.

I minuti in cui Mallo si trova a parlare con la madre anziana e morente, rappresentano la riconciliazione alla fine del percorso. Forse sono la parte meno indispensabile del lungometraggio, perchè è in realtà  il medico a dare la sentenza di pace al regista, quando gli suggerisce di imparare a convivere con il male. Ma era già  stato Mallo a prendere atto di questa verità : finalmente rasserenato, ammette senza falsi pudori la propria dipendenza dalla droga, ormai risolta, in un mea culpa conclusivo ed autoassolutorio.

Il finale metafilmico, in cui i flashback diventano la nuova opera del regista ritrovato, sono la degna chiusura di un film clamoroso, stupendo, imperdibile. Applausi.

<<Le notti in cui soffro di vari dolori credo in Dio e prego, le altre – in cui ho un solo dolore ““ sono ateo>>. Salvador Mallo (Antonio Banderas)