24 maggio 2004. Un unico disco, una perla sola per poi dissolversi nella nebbia senza un motivo apparente.

Il mio più grande rimpianto musicale è stato non averle conosciute per tempo se non a un anno dallo scioglimento. Poco ci avrei potuto fare, ma sarebbe stato bello assistere alla parabola in tempo reale di una delle band di inizio millennio più talentuose delle ultime due decadi. Erano gli anni delle apparizioni degli Interpol, degli Editors e il post punk spruzzato di new wave tornava prepotentemente di moda a riprova che quei suoni, quel mood non erano sepolti e avevano ancora qualcosa da dire. Le Organ, da Vancouver sono durate cinque anni, dal 2001 al 2006 e ci hanno consegnato uno splendido album, “Grab that Gun” e qualche manciata di brani su ep. Cos’hanno le Organ di tanto particolare? Chi ama gli Smiths ne ritroverà  piacevoli aromi tra le chitarre di  Debora Cohen tanto debitrice alla new wave e sopratutto a Johnny Marr, così come chi vuole provare emozioni forti non potrà  fare a meno di andare in apnea sulle note di “Brother”, primo singolo e manifesto dell’album. Riff di chitarra irresistibile e malinconico, il basso pulsante e tanto Peter Hook di Shmoo Ritchie fanno da cornice alla voce incrinata dell’androgina Katie Sketch.

“Steven Smith” è una nenia che si inerpica sul duetto chitarre/synth e resta là , sospesa e forse incompiuta. “Love, Love, Love” è propriamente post punk ed oggi non sfigurerebbe in nessun lavoro di Editors e simili mentre la voce di Katie riprende l’angoscia e le romanticherie di Morrissey. L’album scorre a singhiozzi mostrando melodie vulnerabili e sospese in un senso di irrealtà  e indefinito. In “A Sudden Death”, Katie canta con angoscia e dolore senza soluzione di continuità  offrendoci una performance emozionante.  “There is Nothing I Can Do” è scheletrica e sinistra con quell’organo marziale che domina.   Svetta su tutte, oltre a Brother come detto prima, “Memorize the City” altro singolo irresistibile e denso di emotività .

I walk through the streets to memorize the city
I count every light until I reach the shore
Sometimes I close my eyes and you’re not very pretty
Sometimes I can’t believe I’ve had those thoughts before

Canta Katie Sketch e lo fa su un riff di chitarra al neon, per un pezzo notturno e desolante. La voce sale e scende stranita e abbandonata a se stessa.

“Grab that Gun” è tutto qui: un pugno di sferzate pregne di solitudine e introspezione filtrate attraverso l’occhio apparentemente algido delle cinque ragazze di Vancouver, tra le prime a riprendere il revival punk wave  e farlo con sincerità  e cuore e aprendo la strada a bands altrettanto valide come le Savages, per esempio. Quello che è mancato, forse, è stata una certa cattiveria nell’imporsi, ma evidentemente se non fossero state così non avrebbero pubblicato cotale album.

Pubblicazione: 24 maggio 2004
Genere: Post-punk revivalJangle pop
Durata: 29:56
Label: Mint Records
Produttore: Katie Sketch, Paul Forgues, Todd Simko, Kurt Dahle