Una mitologia dell’impossibile che si accende in una voluminosità  orchestrale capace di raccontare un mondo, anzi un universo fatto di non-luoghi, mitizzazioni e paesaggi fantastici che ricordano uno spazio a metà  tra il “Giardino Segreto” di C.S .Lewis e il fosso di Helm: ecco cos’è “In Mountain with Dragons”, nuovo album dei The Mountain Goats.

La provincialità  repressa di “Passaic 1975” diventa un percorso che, grazie alle profonde frustrazioni della provincia americana, si prende prima il mondo e punta deciso verso la conquista di un universo che ha più da spartire con il fantabosco, che con la realtà . La grande capacità  però sta nel costruire ponti e canzoni-portale, come “Sicilian Crest “, che ci collocano durante tutto l’ascolto all’interno di un viaggio quasi romantico, chiamato concept album.

Le immagini connesse al disco arrivano da un immaginario complesso, maturo, e come ricorda Philip Pullman: “The commonest question writers get asked is: where do you get your ideas from? The truthful answer is: I dunno“. Tirando le somme sul disco è esattamente così: le idee non si sa da dove arrivino, sono come un “undiscovered country”, di shakesperiana memoria, che rimaniamo a percepire con una ritualità  assordante.

“An Antidote for Strychnine ” è un mausoleo scolpito e dedicato all’essenzialità , alla linea melodica pura e tirata a lucido, non c’è mai un’eccedenza, un rigurgito riverberante che possa disturbare un racconto lineare e intrigante.

Le caratteristiche positive però alla lunga stancano, stonano: è forse proprio questo il grande boh di “In Mountain with Dragons”, che si riprende però nelle lugubri immagini provocate da momenti come “Stray clumps of hair and blood and brain/ Fragments of bone in the drain“. Rimane un’immagine del disco estremamente eterica, linda e forse stancante perchè alla lunga un’opera così circolare, sarà  anche rilassante e appagante, ma non ci fa provare mai il brivido dell’irregolarità .

“Doc Golden” è una ricerca in un territorio che disegna, con una chitarra percussiva e incisiva, un landscape degno di un western, non alla Sergio Leone, ma più alla Jodorowski e in questa traccia c’è esattamente quella sana anormalità  che richiama il caos e un’estetica più intrigante.
Le chitarre nel disco creano un quasi permanente “choral effect” che si intreccia in questo vero e proprio spazio immaginato dai The Mountain Goats. La guerra, il sudore e il sacrificio sono parte del cammino umano, che porta all’elevazione dalla miseria tramite l’epicità .

“In League With Dragons” è un disco ponte tra un’idea a cavallo tra utopia-distopia e la realtà , che crea un dialogo tra l’immaginario e il reale, tra un luogo e un non-luogo.

L’estetica del non reale come cifra stilistica per incontrare i dolori più profondi dell’umanità , la fantasia che lenisce e cerca di argomentare le miserie umane: proprio questo è lo sforzo più apprezzabile di un disco che cerca non solo di raccontare una storia, ma di dare un setting ben preciso.

I The Mountain Goats sono costruttori di mondi, architetti di pianeti in cui un pizzico di caos e pathos in più farebbe bene.

Credit Foto: Jeremy Lange