Il nono album di Richard Hawley, pubblicato lo scorso 31 maggio, spiazza e coglie impreparati, in parte, i fan della prima ora.
Oltre al precedente “Hollow Meadows” del 2015 e l’uscita dei due live registrati al Devil’s Arse l’anno scorso, il cantautore di Sheffield si è dedicato alla scrittura di musiche originali per ben tre colonne sonore di film: ‘Funny Cow’ (2017), ‘Pond Life’ (2018) e ‘Denmark’ (2019). Processo che a suo dire è stato molto più solitario ed intimo rispetto allo comporre con una band e che la ha portato a regalarsi, per il suo 50 ° compleanno, un disco più diretto, composto da canzoni nate, appunto, dallo stare in sala prove con in suoi ormai fidatissimi musicisti.
Quando si parla di Richard Hawley, però, non si può parlare di cosette facili, ma più che altro di pezzi “meno pensati” che gli piace suonare di getto, magari solo più corti del solito (il più lungo “Time Is” si ferma a 4 minuti).

Si parte subito col botto con le canzoni che hanno preceduto l’uscita: “Off My Mind”, “Alone” e “My Little Treasures”, che scaldano e danno l’idea della svolta musicale, più acida (la prima canzone citata è una bella botta) e minimale del disco. L’ultimo dei tre, a mio parere, è il brano migliore dell’album, misurato e raccolto. In “Further” ed “Emilina Says” ritroviamo un Richard acustico e più classico, mentre con “Is There A Pill?” e “Galley Girl” ritorniamo a un rock più concreto.

“Not Lonely” è una ballata romantica che sembra venire dal Richard riservato e morbido di “Lowedges” del 2003. “Time Is”, dal sapore vagamente Stones, è per chi vi scrive il momento più incerto del disco. “Midnight Train” e “Doors” chiudono l’album salutandoci leggere e fresche, ma senza infamia nè lode.

Hawley, pur con qualche variazione sul tema, non aggiunge nulla di nuovo al suo (ottimo) repertorio e potremmo anche pensare che i suoi momenti migliori ce li abbia ormai già  regalati, tuttavia il Nostro è anche un artista incapace di scrivere brutture e questo “Further” rimane, comunque, un buon disco.