Emanuele Lapiana torna con il progetto solista N.A.N.O., ad otto anni di distanza dall’ultimo album. Lo fa attraverso una campagna su musicraiser, ben riuscita: chi si è imbattuto nel progetto ha capito che in ballo c’era qualcosa di interessante, e non si sbagliava.

Si usa spesso collegare passato e presente musicali, facendo riferimento ad artisti, stili e modi di essere; Anche N.A.N.O. non sfugge al confronto, soprattutto con “Moravia” che rimanda a Battiato.  

La fortuna di “Bionda e disperata” è che riesce a piazzarsi nel presente come un bastone tra le ruote: in “Moravia” il nostro canta canta «Leggo moravia per ricordarmi dove andare a parare quando mi scappa di filosofeggiare, quando mi scappa la cacca. Detengo un patrimonio di cultura personale che non so minimamente come utilizzare ». Tutti sanno fare tutto, tutti mettono citazioni ricercate  ovunque, ma che concretamente non servono a niente. In “Bedford” la paura dell’altezza di una generazione che cresce si fa concreta e personale: «Nella notte più profonda mi viene da pensare a Fabio e ho paura di non essere all’altezza dei nostri vent’anni, delle aspettative, i sogni e le promesse che ci siamo fatti forte quella notte ». In “Cop”, invece, gli sconcerti di un mondo che inverte i ruoli troppo spesso: «Quanti di noi hanno creduto di essere sempre stati liberi. Quanti di noi hanno perduto treni su treni. Bambini a cuccia col guinzaglio corto, cani vestiti come uomini. La mia generazione non sa prendersi un posto lascia ai peggiori il suo lavoro sporco ».

Non è tutto negativo, ma un cantautore deve pur sempre raccontare ciò che lo circonda e con Emanuele emerge  quel cinismo che ti pone davanti al fatto compiuto, e non resta che prenderne atto, magari ballandoci su.

In “Bionda e disperata” c’è molta elettronica, molti synth: una sonorità  molto anni Ottanta, ma allo stesso tempo attuale. All’inizio delle canzoni si trovano sonorizzazioni che vanno da donne spagnole alla stazione del treno, passando per i canti in una chiesa fino al suono del lungomare. Ciò denota una ricercatezza e una combo di messaggi che vanno ad arricchire il già  ottimo tessuto musicale e testuale dell’album.  

Non basta un ascolto, e nemmeno due, per apprezzarlo fino in fondo. “Ma” ne è l’esempio lampante: quasi trap nella voce, balcanica in qualche tema “fisarmonico” ed elettronica nell’animo.

Il risultato non può che essere positivo, con un progetto cantautorale che va oltre le mode, sperimentando e raccontando ciò che ci circonda, con una voce eterea e un’atmosfera che lascia il segno.