di Micky Cardilicchia (recensione presente sulla pagina Horror House)

Dopo quella perla di “Hereditary”, le mie aspettative sul nuovo film di Ari Aster erano decisamente alte, anche se in me era comunque presente quella paura che col suo primo lungometraggio avesse solamente avuto fortuna.
Ebbene, la mia paura è stata totalmente annullata vedendo “Midsommar”. Non solo Ari Aster ha soddisfatto le mie aspettative, ma le ha addirittura superate. è incredibile vedere quanto sia evidente il suo miglioramento rispetto alla sua prima pellicola. Con “Hereditary” ha creato un film molto personale ma che nella seconda parte vira un po’ nel “già  visto”, come se qualcuno gli avesse dato delle direttive ben precise da seguire. Qui in questo meraviglioso “Midsommar” sembra proprio che Aster abbia avuto la più totale libertà  di fare il film che ha sempre sognato di realizzare! E la sua passione, unita al suo strabiliante talento, si nota tutta.

Ari Aster, che cura anche la sceneggiatura del film, ci spiazza fin da subito con un tema che sembra essere quasi un suo marchio di fabbrica, poichè presente anche in “Hereditary”: il lutto e il modo in cui i protagonisti reagiscono ad esso.
Quindi rimaniamo spiazzati già  dai primi minuti e Aster lo fa con una violenza inaudita, attraverso un piano sequenza agghiacciante nel quale ci mostra cosa è successo, e subito dopo con una devastante scena di disperazione della protagonista Dany durante la quale il ragazzo Christian cerca di “consolarla”.
Se in questa parte siamo risucchiati nell’oscurità  dal dolore della ragazza e dalla sua insicurezza nei confronti del fidanzato che cerca di spremere il più possibile la loro storia nascondendo tutto sotto il tappeto per andare avanti, nella parte successiva del film, quella in cui l’amico Pelle porta loro in una comunità  svedese, siamo accecati da una luce intensa e luminosissima.

Qui la fotografia è pazzesca, le luci e i colori desaturati sono calibrati alla perfezione. Il tutto si unisce sapientemente alla scenografia ed ai costumi. Tutto è luminoso, candido, etereo.
Proprio per questo motivo è sbalorditivo il netto contrasto che si crea con lo svolgersi della trama, dove tutta questa luce quasi divina abbraccia l’orrore, l’angoscia e l’ansia perfettamente palpabili, come a far credere che ciò che vediamo sia giusto. Perchè è quello che sta affrontando Dany, trovandosi confusa davanti a scene decisamente scioccanti, del tutto impensabili per una persona appartenente al mondo civilizzato, ma “normali” e tradizionali per un abitante della comunità  di Hà¥rga. Se in un primo momento non comprende le caratteristiche della vita al villaggio, col tempo sembra accettare sempre più i macabri atteggiamenti dei loro abitanti.
Questo perchè la ragazza sembra vedere nella comunità , dopo aver ascoltato a lungo l’amico Pelle, una sorta di grande famiglia che condivide qualsiasi cosa. E il tema della condivisione è ciò che più mi ha affascinato della pellicola.

La storia d’amore dei due protagonisti ci viene mostrata al suo punto di rottura, tenuta in piedi solamente da un filo sottile di senso di colpa e poca valorizzazione di se stessi. Christian non riesce a lasciare Dany perchè sa che ha già  perso tutto e l’ennesima perdita potrebbe distruggerla completamente. Dany invece, dalla personalità  fragile e insicura, accetta la totale mancanza di attenzioni che il ragazzo invece dovrebbe concederle.
Per questo motivo Dany, dopo essere stata incoronata Regina di Maggio in seguito ad un rituale danzante, si sente parte della comunità  più di quanto si sentisse amata da Christian. All’inizio del film infatti la vediamo disperarsi tra le braccia del ragazzo che non sembra avere le capacità  per consolarla o sostenerla nel dolore. Gli abitanti della comunità  invece, per loro credo, riescono ad empatizzare le sue emozioni ed a condividerle con lei proprio quando la protagonista le sta effettivamente provando. Nella scena in cui Dany, dopo aver assistito al tradimento di Christian, è devastata e disperata, le ragazze del villaggio si uniscono a lei e alla sua disperazione, urlando e dimenandosi a loro volta. Allo stesso tempo, Aster crea una scena strana, davvero grottesca, in contrapposizione a quella di Dany. Infatti ci rende partecipi al tradimento del fidanzato, mostrandoci che la comunità  condivide anche la libido e la passione. Ad un primo sguardo superficiale, la scena risulta davvero fuori luogo e quasi esilarante, ma una volta colto il senso della condivisione, non si può far altro che ringraziare il regista per l’estremo coraggio che ha avuto nel mostrarci due visioni della stessa situazione.

Potrei parlare ancora per ore di “Midsommar”, che mai, nemmeno per un secondo delle oltre due ore e mezzo di durata, mi ha fatto annoiare. Il film mi ha rapito, affascinato con la sua eleganza, disturbato attraverso scene davvero forti e scioccanti, ammaliato attraverso la sua lucente bellezza. Il talento mostruoso di Ari Aster lo si nota anche nei più piccoli dettagli: dalla messa in scena delle allucinazioni da droga nelle quali vediamo la natura veramente viva, agli accurati e virtuosissimi movimenti della macchina da presa.
La cosa che ha più dell’incredibile è l’aver realizzato una pellicola interamente avvolta nella luce senza mai utilizzare il buio come espediente per provocare angoscia, ansia e inquietudine costante.
Inoltre è impressionante come Aster sia riuscito a rendere claustrofobico un enorme spazio aperto.
Le interpretazioni dei protagonisti poi hanno dell’incredibile. Florence Pugh è alla sua performance della vita. La caratterizzazione dei personaggi è accuratissima, li ha resi sapientemente stereotipati, tanto da ricordarmi i protagonisti di “Quella Casa Nel Bosco”.
Una pellicola unica, che tocca vette altissime e che entra di prepotenza tra i miei film preferiti.

Un capolavoro? Forse, ma diamogli ancora del tempo.
Sicuramente però si tratta di un instant-cult, che si unisce a “Suspiria” di Guadagnino e “La Casa di Jack” di Von Trier nella lotta per accaparrarsi il titolo di miglior film dell’anno.