Quattro anni possono essere tanti – ed è quanto è passato dall’uscita del suo sophomore, “Tied To The Moon”, datato appunto 2015 ““ ma nel frattempo tante cose sono successe nella vita di Rachel Sermanni e nel mondo.

Notizie tragiche come l’elezione di Trump come presidente degli Stati Uniti, il terribile voto della Brexit e la devastante crisi dei migranti che arrivano sulle coste meridionali del nostro continente, ma che molti qui in Europa sembrano non voler accettare hanno influenzato questo disco (e in particolare il primo singolo “What Can I Do”), che era stato scritto un po’ di tempo fa e registrato ai Jazzanova Studios di Berlino insieme al produttore Axel Reinemer.

L’uscita era stata rinviata a lungo a causa dei numerosi tour, della gravidanza e della successiva nascita della piccola Rosa (il cui padre è il musicista scozzese Adam Holmes), ma finalmente questo weekend è arrivato “So It Turns”: nelle ultime settimane, però, la musicista di origini toscane ha perso parecchio denaro a causa di una truffa e, per poter portare a termine la pubblicazione del nuovo disco (realizzato in maniera assolutamente indipendente) e la relativa promozione, ha dovuto chiedere aiuto ai suoi fan attraverso una campagna Kickstarter, che è andata comunque molto bene e le ha permesso di rifarsi dei soldi che le erano stati sottratti.

Questi tre quarti d’ora di musica si aprono con la lunghissima “Put Me In The River”, ispirata dal periodo passato in un monastero buddista: un brano di rara dolcezza, semplice, ma incredibilmente onesto e affascinante. Non servono chissà  quali decorazioni alla musicista scozzese per creare un’atmosfera toccante e profonda.

Le atmosfere suadenti, ma cupe di “Wish I Showed My Love” con il suo leggero fingerpicking sembrano rappresentare perfettamente il concetto di “folk-noir” con cui la stessa Sermanni ama definirsi, mentre il singolo “What Can I Do”, di cui parlavamo poco sopra, è ancora più oscuro con le sue percussioni dure e un violino che non aggiunge luce ai suoi panorami sonori: i pesanti temi toccati e il dolore si rispecchiano nella strumentazione del brano (in particolare nelle rumorose chitarre verso la fine della canzone).

Nella successiva “Typical Homegirl”, invece, i colori cambiano in modo deciso con un attacco di nostalgia che ci prende e un ritorno in un lontano passato pieno di dolcezza, raffinatezza, classe e qualche influenza jazz.

“Namesake” sembra voler prendersi cura di chi la sta sentendo con quelle sue sensazioni quasi sovrannaturali e quei suoi cori angelici che entrano perfettamente all’interno del gentile fingerpicking di Rachel.

“So It Turns” non è certo un lavoro che si comprende subito, ma ogni volta che lo si ascolta ci dimostra come sappia riscaldare l’anima e regalare sentimenti: intenso, a tratti doloroso, ma reale. La Sermanni è riuscita ancora una volta a disegnare suoni affascinanti e destinati a rimanere.