“Ma” è il nuovo, tenero e monosillabico album di Devendra Banhart. Una vera e propria meditazione su dei concetti universali come i legami che ci uniscono o i sentimenti ed i pensieri che emergono molli dal subconscio. Tutti temi ben ponderati e carichi di significato che, grazie alla magia banhartiana, non risultano, peró, mai pesanti o carichi di dolore.

Decimo album di una luminosa carriera, “Ma” si distacca dall’identitá folk eccentrica che ha caratterizzato tanti dei lavori precedenti dell’artista, per sviluppare tutto il proprio nucleo centrale attorno al concetto di maternitá. Un’esplorazione che ha un taglio obliquo e universale, come accade, ad esempio, con “Abre Las Manos”, una delle tre canzoni in spagnolo presenti nel disco. Il titolo del brano, scelto non a caso, fa riferimento alla madrepatria, la terra in cui Banhart è cresciuto: il Venezuela. Il cantante fa delle considerazioni a cuore aperto in merito alla situazione politica del paese e decide di prendere posizione, come ha giá fatto in passato, istituendo un partenariato con PLUS1. L’artista si assicura, in questo modo, che per ogni biglietto venduto del suo tour autunnale negli Usa un dollaro vada alla World Central Kitchen (WCK), un’organizzazione che combatte la fame nel mondo e che si è occupata, tra le altre cose, di fornire 350.000 pasti a coloro che si trovano al confine tra Colombia e Venezuela. Stesso tipo d’operazione politicizzata viene attuata anche per il video di “Kantori Ongaku”, dove appare, in un giallo ben visibile, l’indirizzo web per effettuare donazioni per il Venezuela.

C’è, di sicuro, un voluto retrogusto internazionale in “Ma”. Le canzoni, talvolta cantate in spagnolo, talvolta in portoghese ed inglese o persino in giapponese, intendono trasmettere la globalitá dell’esperienza umana attraverso le differenti lingue. Un modo per sottolineare come si possa aspirare all’universalità , pur mantenendo vive le singole particolarità .

“Memorial” è, a mio avviso, la canzone più bella ed onesta del disco. Un brano che ci ricorda un Banhart passato, capace di mettere tutto il dolore a nudo, mantenendo, pur sempre, una grazia infinita. A detta del cantante “Memorial” racconta le sensazioni controverse derivate dal dover far fronte ad un irreparabile cuore spezzato. La perdita di tre persone molto amate, il tentativo inutile di trovare una ragione, in “Memorial” sentiamo un’eco del timbro di Leonard Cohen ed abbracciamo un Banhart dolorante che trabocca d’amore.

“Taking a Page” viaggia, invece, su tutt’altre corde e a detta del cantante stesso “è semplicemente una canzone che parla di tutta la mia vita. Non saprei andare oltre questa definizione“. Un brano per il quale ha chiesto, a Carole King, il permesso di prendere in prestito una melodia della celebrissima “So Far Away”, classe 1971. Sul suo canale Youtube Banhart confessa come sia corso istintivamente a cercare aiuto in un album di Carole King subito dopo aver scoperto, con sorpresa e paura, che Trump era divenuto il nuovo presidente degli Stati Uniti. Sogni di una vita da casalinga perfetta, inseguimenti d’auto, infiniti assoli di chitarra e magliette free Tibet made in china sono i tasselli che vanno a comporre un pezzo tanto surreale quanto allegro.

“Will I See You Tonight?” vede, invece, il ritorno di una collaborazione con la perla segreta del folk: Vashti Bunyan. A distanza di quindici anni dalla brillante “Rejoicing In The Hands”, title track dell’omonimo album, Banhart torna a parlare di temi che gli stanno veramente a cuore e per farlo si avvale, ancora una volta, della sua cantante preferita.

“Ma”, titolo del nuovo album del cantante, non è una scelta azzardata, è, al contrario, un concetto pensato per un preciso scopo e per un ben preciso momento. In giapponese il termine ma è inteso come “un vuoto pieno di senso” e puó essere tradotto come “intervallo”, “spazio” o “pausa”. è solo grazie alla presenza di un vuoto che una forma artistica si puó realizzare poichè, nella cultura giapponese, “tutto” e “vuoto” coincidono. In oriente il vuoto è considerato come la condizione a priori perchè il pieno possa esistere ed operare. è, quindi, questo il significato dell’ultimo disco di Banhart? Un’opera che vuole essere tutto e niente? Il contenitore di un vuoto pieno di senso? Una collezione di memorie e sentimenti, di racconti in cui realtá e fantasia si mescolano perfettamente?

Un album riflessivo, forse non il migliore per un artista che ci ha abituati a ben altri livelli, ma certamente il piຠautobiografico. Con “Ma” Banhart ci regala di sicuro un bel disco da ascoltare e da scrutare nei, non più troppo lunghi, pomeriggi di fine estate.