Quanti di voi ricordano con un pizzico di nostalgia “La storia infinita”? Bene, sappiate che il titolo del tredicesimo album dei Korn, “The Nothing”, è tratto dal nome di quell’entità  oscura (il Nulla, per l’appunto) che, sia nel romanzo che nel film, minacciava di distruggere il magico regno di Fantà sia. Sarò sincero: appena l’ho scoperto, dei brividi di paura mi hanno attraversato la schiena. Prima del quintetto californiano, infatti, ci aveva pensato Giorgia Meloni a ispirarsi a un altro celebre personaggio del libro di Michael Ende, chiamando come il valoroso guerriero Atreyu una manifestazione di destrorsi e fascistoidi che, ahimè, si ripete con cadenza annuale dal lontano 1998.

Una preoccupazione da niente, naturalmente: non credo ci siano punti di contatto tra Fratelli d’Italia e i Korn. Non è stato questo a spingermi a procrastinare il più possibile l’ascolto del nuovo lavoro dei padrini del nu metal. I miei timori, semmai, erano legati al fatto che, dopo la pubblicazione dell’ottimo “Untouchables” nel 2002, la band guidata da Jonathan Davis ha praticamente spento la luce.

Tra defezioni e cambiamenti di stile ai limiti della comprensione umana (come dimenticare il tremendo esperimento dubstep di “The Path Of Totality”?), i nostri si sono lasciati inghiottire da un vortice di mediocrità  che ne ha seriamente compromesso la carriera. Se qualche anno fa non fosse rientrato in formazione il figliol prodigo (e autore principale delle musiche) Brian “Head” Welch, probabilmente avrebbero fatto la fine del reame della sfortunata Infanta Imperatrice: il Nulla li avrebbe fagocitati in un sol boccone.

Il buono stato di forma messo timidamente in mostra in “The Paradigm Shift” (2013) e “The Serenity Of Suffering” (2016), tuttavia, ha permesso ai Korn di galleggiare sani e salvi fino a questo “The Nothing”. Un album finalmente degno di nota: potente, cupo ed epico, con un ottimo mix tra melodia e pesantezza. Tredici canzoni per ritrovare il bandolo della matassa: se si escludono la poppeggiante “Can You Hear Me” e la drammatica “This Loss”, il resto del disco include tracce di passato (“Life Is Peachy” e “Issues” i riferimenti guida) rese in maniera assai moderna, grazie soprattutto all’eccellente produzione di Nick Raskulinecz (già  al fianco di Deftones, Alice In Chains, Foo Fighters e Rush).

La sezione ritmica, composta dal bassista Fieldy e dal batterista Ray Luzier, è affiatata e compatta come non mai; le chitarre ultra-effettate di Munky e Head tornano a strabiliare come ai vecchi tempi, quando era impossibile distinguerle dall’opera di un qualche turntablist. Eccellente, infine, la prestazione di Davis al microfono. Per lui, reduce dalla tragica scomparsa dell’ex moglie, uccisa da un’overdose poco più di un anno fa, le registrazioni di “The Nothing” sono state un vero e proprio tour de force di sofferenze. Di tanto in tanto, tra un brano e l’altro, lo sentiamo sbraitare, mugugnare, imprecare e piangere a dirotto: il suo dolore è reale. E il dolore, purtroppo o per fortuna, ha sempre fatto bene alla musica dei Korn. Non si vola in alto come in groppa al FortunaDrago Falkor, ma era impossibile chiedere di più a chi sembrava essere giunto al capolinea ormai da un pezzo. Da non perdere “Cold”, “The Darkness Is Revealing”, “Idiosyncrasy” e “The Ringmaster”.