Ridotti a tre nel numero per l’uscita del batterista Samuel Toms, i Temples non hanno certo perso la voglia di salire sulla macchina del tempo per viaggiare ancora nella psichedelia del pop rock  anni 60-70: siamo quindi al terzo album con questo “Hot Motion” per la band inglese, che già  dagli esordi  va in giro con la benedizione di Noel Gallagher, non certo uno qualsiasi.

Opinione personale: “Sun Structures”  era stato un esordio con i controcoglioni, “Volcano” non aveva però retto il peso delle (mie) aspettative.

Ecco quindi che il terzo album rappresenta una sorta di dentro/fuori al quale non si può scappare. E non scappano i ragazzi di Kettering, e per non rischiare puntano sul sicuro: chitarre distorte ora, diamantine adesso, riff, intrecci sonori, melodie pop ed il giusto gusto glam, magari meno brillante degli esordi ma non meno barocco, e comunque presente. Veleggiando da lidi squisitamente lisergici, a zone più baldanzose (la titletrack “Hot Motion”) passando per canali più profondi ed epici (“The Howl” con la sua batteria marziale) . Mantenendo comunque un fondamentale equilibrio, tutto scorre fluido, tra saliscendi creati ad hoc per mantenere vive le pulsazioni e regolare il flusso. Proprio come una bella droga psicoattiva da periodi andati.

C’è un grosso rischio, che però i Temples avranno sicuramente messo in conto: quello dell’originalità , intesa soprattutto come peculiare autenticità . Perchè il lavoro, a tratti, sembra davvero circumnavigare su se stesso, senza il picco, l’impennata, lo scatto, la firma che ne garantirebbe il certificato D.O.C. di personalità . Dove invece riecheggiano nell’aria oltre che gli ovvi anni ’60 e ’70, anche (troppo) i Tame Impala dei primi due lavori: che a loro volta, al netto di classe e talento, delle band di quegli anni sono degli epigoni, inutile nasconderlo. In più,  di pezzi che resteranno nella memoria futura, è difficile davvero individuarne con sicurezza (una “Keep in The Dark” o una “Shelter Song” degli esordi, per capirsi).

Va pur detto che restava comunque difficile immaginare, almeno a livello stilistico, una netta virata stilistica che avrebbe probabilmente compromesso del tutto forma e sostanza della band inglese. E nel loro campo, i Temples hanno gusto e il giusto approccio, e non glielo possiamo non riconoscere, così come gli arrangiamenti, suoni e melodie sono a loro volta curati come si deve.

Quindi, “Hot Motion”: bene e bello?  Ma dà i, facciamo che passi così.  Ma almeno  con il peso della responsabilità  (che si stia trasformando in sempiterno fardello?) che si portano dietro, le attese avrebbero voluto sicuramente qualcosa di più, che non c’è. Ma che fortunatamente non è tardi per mettere, una volta per tutte, sul piatto. E quindi, per stavolta, scampano anche al dentro/fuori di cui sopra.

Credit Foto: Laura Allard Fleischl