Che ci fosse urgenza di mettere sul piatto pulsioni e creatività  è apparso inconfutabile alla sola notizia di questo nuovo lavoro, il secondo per il 2019, a firma Big Thief: soprattutto perchè da Adrienne Lenker e soci non ci possiamo aspettare che questo “Two Hands” rappresenti un qualcosa di riempitivo o addirittura di superfluo, messo lì per una ragione diversa da quella sopra.

E’ un album vero, fatto di canzoni vere, costruite su sentimenti ed immagini altrettanto autentici. Quelli di Adrienne, certo, alla quale la band è bravissima a costruire intorno l’atmosfera più adatta.

Ed è quindi un altro piccolo gioiello questo “Two Hands” che, come anticipato dagli stessi Big Thief, è nato per riportare sulla dimensione terrena quelle venature metafisiche ed eteree che avevano contraddistinto il precedente (ed, opinione personale, magnifico) “U.F.O.F.”: missione riuscita, poco da aggiungere.

Approccio strumentale minimale ed intimo, abito sonoro volutamente imperfetto, stilisticamente elegante quanto essenziale, “Two Hands” è la conferma che i Big Thief sono ormai da considerarsi a tutti gli effetti degli alfieri di quel alt-folk bagnato di americana che vede in gente come i Wilco probabilmente l’attuale benchmark artistico.

Autunnale, passionale, accorato, l’incedere dell’album fa del tepore, della delicatezza, del calore umano i suoi peculiari tratti distintivi. Le uniche deviazioni dal tracciato sono i due singoli diffusi prima della sua uscita, “Not” con il suo deflagrare in un assolo ruvido e nervoso che si estende a sua volta in una lunga coda dal sapore jam, e “Forgotton Eyes”, una delizia e, al netto del contenuto, forse l’unico momento di vera leggiadria: un brano che qualora tirato a lucido, con un abbigliamento pop e preceduto magari da un nome più altisonante e mainstream sarebbe probabilmente in heavy rotation nelle radio di mezzo mondo.

Quello dei Big Thief è un viaggio bellissimo ed in giorni come i nostri, dove l’iperproduttività  solo raramente coincide con la qualità , siamo fortunati a poterne essere coevi e spettatori.

Photo by Dustin Condren