di Fabio Campetti

Tornano in pista, direi puntualissimi, anche gli Elbow. “Little Fictions” il loro penultimo lavoro era giusto del 2017, un disco apprezzato che continuava il percorso svolto finora dalla longeva band di Manchester, con all’interno, se mi posso addirittura sbilanciare, per quanto mi riguarda, il loro brano migliore di sempre, quel “Magnificent (She Says)” che apriva il filotto. Due anni dopo, ma soprattutto a quasi venti da “Asleep in the back”, strepitoso esordio che li fece consacrare a livello mondiale, si fanno risentire con “Giants of all size”, ottavo album in cascina per la band di Guy Garvey e Mike Potter.

Stiamo sicuramente parlando di una delle realtà  più raffinate della seconda ondata del cosiddetto brit pop, paralleli ai Coldplay, ma molto più eleganti e sicuramente meno inclini a compromessi commerciali; hanno portato avanti una carriera autorevole, guadagnando stima incondizionata da molti fan ed addetti ai lavori, perchè l’integrità  artistica preservata in tutti questi anni di musica, è qualcosa che li può rendere orgogliosi del percorso fatto. Anche quest’ultima fatica in studio si posiziona sullo stesso livello dei dischi precedenti, una sorta di marchio di fabbrica, che li mostra forse prevedibili da un certo punto di vista, ma portatori sani di quella qualità , merce assai rara di questi tempi. Nove tracce stratificate, molto intense e ricche, l’abituale ricerca sonora e la maniacale cura dei dettagli, peculiarità  che solo i grandi hanno saputo mantenere.

“Dexter & Sinister” apre la tracklist con un riff di matrice seventies a fare da fondamenta, sul quale si sviluppa una suite di oltre sei minuti, per il classico brano rompighiaccio.
“Seven Veils” è la ballad in abito da sera in puro stile Elbow, la tipica canzone, allla quale ci hanno abituato negli anni.
Impennata in avanti per la bellissima “Empires” in posizione numero tre, malinconica e crepuscolare nelle strofe, solare e ariosa nei ritornelli.
Uno degli apici del disco è sicuramente “The Delayed 3:15”, strepitosa ballata, con la voce di Guy Garvey davanti a tutto su un sound acustico, profumo di carta da parati, di pomeriggi piovosi in Inghilterra, emozione pura e pelle d’oca; con “White Noise White Heat” torna il rumore, sintetico in caso, forse il brano più rock di questo nuovo lavoro.

“Doldrums” è il pezzo che mi ha convinto meno in questi primi ascolti (che forse sono ancora pochi per capire tutte le sfumature di questa raccolta, quindi non escludo di cambiare idea), “My Trouble” è il secondo apice invece, una traccia malinconica, melodica e profonda, in pieno stile british, “On Deronda Road” invece è pop sperimentale, con interessanti intrecci di voce per una scrittura distante e non convenzionale, mentre “Weightless”, altra composizione raffinata, ha il compito di chiudere una tracklist di un disco, non difficilissimo, ma nemmeno una passeggiata, come spesso gli Elbow ci hanno abituato.

Una band unita e in salute, che è meglio tenersi stretti.