C’è un tempo per tutto. Passato, presente, futuro. Si parte da una cassetta masterizzata e ci si ritrova a stabilire che gli Adorable sono quella band che si merita l’appellativo di “il mio gruppo preferito in assoluto“.

Un tempo in cui si faceva air guitar davanti allo stereo e ci si immaginava a padoneggiare una folla adorante, in realtà  composta giusto dal fratello minore, come credevo facesse Pete. Un tempo in cui l’incazzatura saliva perchè Rumore, il mio giornale di riferimento dell’epoca, non faceva che criticarli. Un tempo, lungo, decisamente lungo, in cui rendersi sempre più conto che i propri idoli non ci sono più, si sono infatti sciolti e più passano gli anni più si nota che la speranza di vederli live sta inesorabilmente svanendo (anche alla luce delle parole, mai di minima apertura, di Pete Fijalkowski). Cazzo, si riuniscono tutti in questi ultimi anni, possibile che gli Adorable non lo facciano? Ma evidentemente c’era bisogno anche di un momento così, c’era bisogno anche del tempo dello sconforto, acuito dal fatto che in quei due album ci sono davvero le canzoni con cui sei cresciuto e che fanno parte della colonna sonora di una vita, non solo di una tracklist di un paio di dischi usciti per Creation. Canzoni che non basta sentire su quei cd, o in macchina o su Spotify. Non basterebbe, diciamo, ma, mi (ci, perchè so di non essere da solo, lo so!) toccava farmelo bastare, per forza.

Il bootleg del live di Bruxelles, l’ultimo live della loro carriera, datato 1994, ripassato come i 10 comandamenti, mentre quelle parole pesano come un macino…”gli Adorable non esistono più“.

Ma le cose cambiano. I tempi cambiano. L’annuncio inaspettato, insperato, sconvolgente. Gli Adorable si riformano. Un pugno di date, tra fine ottobre e inizio novembre, per poi sciogliersi ancora. Porto a casa due serate: 1 e 2 novembre al Bush Hall di Londra. Aspetta, facciamo il punto: si sono riformati gli Adorable, aspetta…gli Adorable. Si, DIO MIO. E io li vedrò live per due volte. E il tempo passa, inesorabile, lento o veloce che sia, e si arriva alle date. Aereo, Londra, piove, locale sold out, cortometraggi in apertura.

Sono sotto il palco, mi mangio le unghie, ho la pelle d’oca, ancora non ci credo, neanche quando li vedo salire sul palco, neanche quando sento “I’ll Be Your Saint” che apre la setlist. La prima serata mi serve per far pace con tutte le volte che mi disperavo perchè si erano sciolti e io non avevo potuto vederli. Per mettere a tacere l’adolescente che urlava nella sua stanza quelle canzoni. Brani per il cuore, non ancora per le orecchie. Quelli arriveranno nella seconda serata, quando mi diletto con il suono, con l’esplosione delle chitarre. Nella prima puntata è tutto batticuore,   è lo sfamare la nostalgia e nello stesso tempo l’esaltazione che emerge anche solo nel vedere i propri idoli, ancora una volta, sul palco. La mente è piena di sensazioni, sentimenti. Ho fatto bene a vedere due date, perchè con una sola puntata non avrei appagato completamente il mio bisogno.


(Foto di Carolina Rolla)

Quando il contenitore personale, quello che brama coccole e rimandi al passato, è pieno, ecco che mi assaporo lo show, mi godo le melodie, mi godo i riverberi, mi gusto una bravura assoluta che il tempo non ha assolutamente scalfito, mi godo il loro stare sul palco: Robert che salta e incita la folla, Kevin e Wil (me lo sono sempre immaginato più alto, chissà  perchè, con quel suo caratteristico muoversi on stage) che fanno un lavoro ritmico che viaggia alla perfezione e Pete, una maschera, un viso serio, intenso, senza sorrisi, parla pochissimo, quasi altezzoso e intoccabile, proprio come gli Adorable apparivano ai tempi d’oro. Pete è li per questo, con quei piedi che si muovono come fosse un ballerino, con quella giacca bianca consunta, quella di un tempo, che spinge sulla sua chitarra, che detta i tempi dell’esplosione shoegaze, che ci ricorda, con quel ciuffo sugli occhi, perchè da sempre lo amiamo e lo veneriamo: perchè è un dio. Un dio che ci sta facendo sentire bene. Perchè è questo che dovrebbe fare dio. Un dio tanto intoccabile e superiore sul palco quanto affabile, sorridente e caloroso con tutti a show finito, quando si presta a foto e autografi con ognuno dei presenti. Ognuno.

“Vendetta” è la botta che deve essere, “Radio Days” mi sorprende in entrambe le sere per l’esecuzione intensa e rabbiosa, “Sunshine Smile” scatena il pogo dei presenti e il finale sonico e accellerato è eseguito in modo superbo, “Summerside” è toccante con i soli Pete e Robert sul palco, “Sistine Chapel Ceiling” è un martello in testa. Con “Breathless” arrivano le lacrime, a fiumi, non riesco a trattenerle, una ragazza al mio fianco mi mette una mano sulla spalla, un’altra mi sfiora la mano e io quasi a scusarmi con loro perchè sono così vulnerabile, ma l’empatia è troppo alta, troppo forte e tutto scorre, il passato si aggancia al presente e porta a galla troppe cose.

“Homeboy” e “A To Fade In” a chiudere. L’asta del microdono alzata, violentata, spinta sulla chitarra nella prima e quell’urlo catartico che coinvolge tutti, mentre nella seconda il “papapapapa” è liberatorio e ci unisce in una sola, splendida,voce.


(Foto di Massimiliano Galanti Piccagli)

C’è un tempo per tutto. Io, forse, non sono ancora arrivato a comprendere perfettamente quello che ho vissuto, troppo grande l’emozione, troppo grande il fardello emotivo che quelle canzoni rappresentano. Continuo a guardare foto e video delle serate, come se non ci fossi stato, ma c’ero. Ma arriverà  anche questo, arriverà  la piena comprensione e allora, davvero, realizzerò che, per due serate, ho toccato il cielo con un dito, riuscendo a fare quanto detto da Pete: “Godetevi questo momento, assaporatelo e portatelo con voi“. Quel sorriso abbozzato che ora ho sul volto diventerà  pieno e queste mani tremanti, che ora non accennano a stare ferme, diventeranno salde. Ho visto gli Adorable. HO VISTO GLI ADORABLE.