Le luci della città  fanno strani giochi di colore sotto la pioggia intermittente, sono parte del serpentone inesauribile che da Via Valtellina, lentamente, si sta riversando all’interno dell’Alcatraz. Osservo i volti, cerco schizzi di vissuto, fili leggeri che si intrecciano e si separano.

Lascio liberi i pensieri, sono all’interno del locale, il buio viene interrotto da una sequenza analogica che evocata il passato e la Nouvelle Vague: un balcone in riva al mare e una frase “You only fuck for love” . Due amanti sulla spiaggia, il cielo che muta, finestre che si aprono su nuovi scorci, nuvole e fumo.

Sul palco i Cigarettes After Sex. I  primi versi,  sussurrati, con cui ci accolgono in questo freddo giovedì di novembre, arrivano direttamente dall’ultimo lavoro in studio, “Cry” , uscito lo scorso 25 ottobre.

“Built an opera house for you in the deepest jungle”, ancora una storia d’amore che taglia come il filo spinato, la voce eterea di Greg Gonzalez che tratteggia con fare lieve, i contorni di un viaggio in un immaginario che tutti conosciamo e in cui tutti siamo pronti ad immergerci.

“Penso a questo album come se fosse un film. Un film girato in una location esotica, piena di personaggi diversi e storie d’amore, bellezza e sensualità “. Questa la dichiarazione perentoria con cui Greg ha presentato il nuovo lavoro; l’approccio cinematografico e il minimalismo come stile di vita vengono ben tradotti, questa sera, sul palco dell’Alcatraz per l’unica data italiana della band di El Paso.

La setlist si snoda tra passato e presente, tra morbide bedroom songs e  shoegaze etereo, il tutto condito da toni crepuscolari e noir. L’entusiasmo dei fan esplode su “Sweet” e “Nothing’s Gonna Hurt You Baby”. Non mancano i tramonti di “Sunsetz”, un letto e una richiesta di restare con “K”.

I riverberi della chitarra e il suono ovattato della batteria trascinano in un mood sonoro languido e malinconico, una sospensione temporale in cui struggimenti del cuore, ricordi e certezze vengono persi e ritrovati.

“Apocalypse”, preceduta dalle parole (davvero pochissime nel corso della serata) di ringraziamento, viene cantata in coro e sembra chiudere il set. C’è tempo ancora per “Dreaming of  You”  e un gioco di di luci sognanti che colorano l’intero locale.

La voce e la chitarra di  Greg Gonzalez, il basso di  Randall Miller,    la batteria di  Jacob Tomsky  e le tastiere di Josh Marcus sono una macchina tecnicamente perfetta. Il repertorio però è piuttosto monocromatico, a tratti banale. La sensazione è di trovarmi all’interno di un film di David Lynch, la trama viene riscritta; un eterno ritorno  nietzschiano in cui tutto rinasce e rimuore ciclicamente ripetendo un certo corso e rimanendo uguale a se stesso.

Miglior accoppiata nome-genere di riferimento degli ultimi anni, tolto “sex” resta ben poco.

Peccato.