Arrivati al loro ventinovesimo album in 35 anni di carriera, la prolifica band statunitense capeggiata dal leader storico Robert Pollard (il quale invece raggiunge quota cento album pubblicati) ci regala un nuovo preparato di post rock – il terzo quest’anno dopo il doppio LP di febbraio “Zeppelin Over China” e “Warp and Woof” di aprile – già  pronto e confezionato per essere suonato dal vivo.

D’altronde la rock band di Dayton è nota per le sue gloriose performance live, ricche di energia e coinvolgimento totale con i suoi fan.

Uscito in versione fisica lo scorso 25 ottobre per poi approdare sulle piattaforme streaming il primo novembre, “Sweating the Plague” è stato prodotto da Travis Harrison, il quale aveva già  lavorato in precedenza con Pollard e Gillard con i Lifeguards  in “Waving at the Astronauts” del 2011.

Dodici brani per circa quaranta minuti nei quali la band dell’Ohio sprigiona ancora una volta un sound dal consueto approccio post punk contornato dai soliti calzanti arrangiamenti.

Nel brano d’apertura, “Downer”, Gillard e Bare si destreggiano in riff di chitarra prima dell’attacco della batteria di March che detta il ritmo per uno dei migliori episodi del full-lenght.

La dissolvenza dell’opener apre ai lampi di “Street party” con un sound vagamente pop-rock che inizialmente far venire in mente i Rush mentre la prima strofa a cappella in “Mother’s Milk Elementary” apre le danze al momento ballad, atipica, con ritmo spezzato fino ad arrivare a “Heavy Like the World” che segna, insieme alla successiva “Ego Central High”, episodi di tipica matrice GBV.

“The Very Second” sancisce l’inizio della seconda parte del disco, brano immediato dove l’assenza di particolari orpelli dona una piacevole intensità  che apre, invece, alle pesanti chitarre rock di “Tiger on Top”.

Con “Unfun Glitz” e “Immortals” siamo ufficialmente in territorio classic rock, mentre March presta la voce nella cupa ” Your Cricket (Is Rather Unique)”. Le note in versione demo di “My Wrestling Days Are Over” spalancano la strada al prog di “Sons of the Beard” che ha il compito di chiudere la track list.

Con questo album, i GBV hanno messo in piedi un lavoro seducente che riesce a far coesistere eleganti melodie con classici episodi post-punk, marchio di fabbrica degli americani.

“Sweating the plague” è un ottimo disco, che si pone nel mezzo tra i due precedenti pubblicati quest’anno e tende la mano al prossimo “Surrender Your Poppy Field” in attesa nel febbraio 2020.