La storia è nota.

“Second Coming”, secondo ed ultimo album dei The Stone Roses, arriverà  oltre 5 anni dopo l’esordio. Problemi legali con la vecchia casa produttrice che dilaterà  incredibilmente l’attesa, fino a fare sì che la luce su Ian Brown e compagni si fosse come affievolita, ormai catalizzata com’era dal rullo compressore che risponde al nome di movimento britpop.

Di più, la notorietà  non aveva fatto granchè bene alla band di Manchester, almeno a livello di produzione artistica: più che a scrivere canzoni, Ian e sodali pensarono “bene” di usare il tempo litigando e spendendo (male) i soldi che, comunque, erano arrivati a pioggia.

Aspettative alte dei fan nonostante questo, ma terreno non così fertile, e materia prima probabilmente non più adatta.

L’album venne stroncato, in linea di massima, sia dalla critica che dalle vendite: che a risentirlo oggi, sembra quasi impossibile. Perchè non è certo il flop, seppur qualitativamente inferiore dell’esordio, di quello che si volle far passare. Ci sono cose buone e meno buone, sì, e a riascoltarlo ancora oggi è ancora più evidente. E’ sicuramente più american  rock (e Squire-centrico) del precedente, ed in un periodo in cui impazzavano le melodie britpop, non certo il migliore dei biglietti da visita. E qui sta il punto, che porterà  l’album ai risultati ben al di sotto delle aspettative (e del valore che oggi gli viene conferito): difetta tremendamente di melodie popedeliche, che ne avevano per giunta fatto la fortuna in sede d’esordio. Con un Ian Brown non certo al massimo della forma: indebolito, sottotono, in penombra.

Peccato, perchè qualità  ci sarebbe eccome: l’opener “Breaking into Heaven” ha animo blues-rock, e se vede uno Squire (specie nella seconda metà ) in primo piano, ha una sezione ritmica perfetta con Reni alla batteria ed un Mani al basso a livelli di eccellenza (non a caso i due sono indicati all’unanimità  come gli elementi tecnicamente e stilisticamente più dotati della band); segue “Driving South” che ha cuore zeppeliniano, con le accelerate della chitarra di Squire ai limiti del corrosivo, prima di uno dei pezzi che diventerà  poi uno dei più amati, “Ten Storey Love Song” (curiosità  vuole che nel video, uscito nel 1995, Reni ““ che aveva appena lasciato il gruppo- venga sostituito con un uomo mascherato…).
Dopo il funk-jazz di “Daybreak” (dove spunta una tastiera à  la Doors di Simon Dawson), Squire imbraccia l’acustica per la lisergica ed esoterica (quanto, va detto, non certo indimenticabile) “Your Star Will Shine”, prima che Ian Brown metta la firma su (anch’essa non memorabile, al netto di un buon groove blueseggiante) “Straight to The Man”.
L’asticella si alza decisamente con “Begging You”, che sarà  il terzo ed ultimo estratto dell’album: quintessenza madchester, un breakbeat d’adamantio e un Mani Mounfield che dalle retrovie detta legge.
Le acque si calmano con il folk acustico, lo-fi e drogato della pur sentimentale “Tightrope”, prima che “Good Times” parta lenta per poi tarantolarsi in un desert blues tagliente con uno Squire avvelenato e un Mani, ancora una volta, sublime.
Si abbassano ancora toni e ritmi con “Tears” che parte con l’acustica arpeggiata per poi esplodere in una cometa rock anni ’60-“’70 con tutti i crismi.
L’animo più pop riaffiora con “How Do You Sleep”, prima del grand finale con “Love Spreads” che non può che mettere d’accordo tutti: Squire satura l’aria con riff portentosi, il lavoro su piatti e pelli di Reni è eccezionale, Mani cuce linee di basso di caratura incredibile. Un masterpiece.

Ma nel complesso,   sicuramente meno di quello che sarebbe servito, in quel Dicembre 1994, per tenere testa a gente come Oasis, Suede, Pulp e Blur, assoluti protagonisti della scena.

L’album non andrà  oltre la quarta posizione in terra natale (se può consolare, i primi tre posti in quel momento erano per due best of ““ dei Beautiful South e Bon Jovi ““ e il “Live at BBC” dei The Beatles).

Anche il resto della storia è pressochè nota, fatta di un rapido perdere pezzi fino allo scioglimento, ed un lungo salto fino al 24 Giugno 2017. Hampden Park, Glasgow. L’ultimo concerto. “Don’t Be Sad It’s Over, Be Happy It’s Happened“.

Stone Roses – Second Coming
Data di pubblicazione: 5 Dicembre 1994
Tracce: 13
Lunghezza: 78:38
Etichetta: Geffen
Produttore: Simon Dawson, Paul Schroeder

Tracklist:

1. Breaking Into Heaven
2. Driving South
3. Ten Storey Love Song
4. Daybreak
5. Your Star Will Shine
6. Straight To The Man
7. Begging You
8. Tightrope
9. Good Times
10. Tears
11. How Do You Sleep
12. Love Spreads
13. The Foz (Secret Track)