Sei anni dopo il debutto intitolato “L’oceano quieto”, Il Buio riemerge dalla provincia vicentina per portarci a fare un giro nel paese reale. Quello che, stando alle parole del quintetto di Thiene, “sembra aver perso di vista ogni obiettivo comune e ha smesso di sognare”. Un luogo triste e deprimente, popolato da una “moltitudine distratta” (continuo a citare la band) che sempre più facilmente si lascia catturare dai proclami pieni di odio lanciati dal feroce branco neroverde.

Con le otto tracce di “La città  appesa”, i ragazzi de Il Buio provano a tradurre il rancore e il veleno nel quale siamo immersi in una rabbia sana, genuina e disintossicante. Per farlo, si affidano alla potenza di fuoco di un alternative rock che guarda tanto a quelle nevrosi post-hardcore caratteristiche di pezzi da novanta stranieri (At The Drive-In e Refused in primis), quanto a un certo tipo di noise nostrano, nel quale rumore e parole rivestono la stessa importanza (Il Teatro degli Orrori).

Il risultato è abrasivo ma vivace, considerando il livello di contaminazione del sound proposto dai nostri. Dalle derive droniche di “Anonimo” si passa alla forza anthemica di “Prima Noi”, un bel pugno in faccia a sovranisti e compagnia urlante (Un cuore spezzato da Boko Haram/In pasto ai cani di CasaPound). L’aggressività  di “Tetano” si diluisce tra gli arpeggi puliti e l’ipnotico giro di basso di una title track che, con i suoi sei minuti di durata, si prende il tempo necessario per crescere, colpire e affondare.

Discorso simile per l’ancor più lunga “Una coperta scura”, che si fa notare soprattutto per le fosche sfumature post-punk e l’ottimo lavoro svolto dalla sezione ritmica. “Nonostante la pioggia battente”, una sorta di manifesto ambientalista della band veneta (Una terra sfruttata/senza nessuna lucidità /rimarrà  arida per sempre/nonostante la pioggia), introduce nel piatto due ingredienti alquanto inaspettati, ovvero una chitarra acustica (all’inizio) e un piano elettrico (alla fine).

L’energia di “Confine” e l’amarezza di “Arresi”, la ballad che chiude la mezz’ora abbondante di “La città  appesa”, confermano l’eccellente stato di salute dei ragazzi thienesi. Speriamo di risentirli più spesso: in un’epoca in cui personaggi che cantano amenità  quali Lo sai che la Tachiprina 500/Se ne prendi due diventa mille riempiono le arene, ci servirebbe come il pane un briciolo di impegno sociale e politico in musica.