Ritorno graditissimo quello di Nordgarden che, dopo aver realizzato “Changes” alla fine del 2017, torna questo weekend con il suo sesto lavoro sulla lunga distanza.

Come forse i nostri lettori già  avranno visto su queste pagine, Terje, recentemente protagonista con altri musicisti blues norvegesi alla Royal Albert Hall di Londra, dopo tanti dischi in inglese e uno (di cover) in italiano, ha deciso di pubblicare anche il suo primo nella sua lingua madre per provare a vedere quale potesse essere l’impatto sui suoi connazionali.

Inizialmente possiamo pensare che la decisione non sarà  la più azzeccata a livello internazionale, ma riteniamo che fosse giusto per il quarantenne nativo di Hamar provare a cercare uno sbocco anche all’interno della scena norvegese.

Certo, difficile comprendere i testi delle sue canzoni scritte nella sua lingua madre, ma questo non ci ferma dall’ascoltare ugualmente “Korsvej”, che comunque sa darci delle belle sensazioni a livello sonoro ed emotivo.

E proprio per quanto riguarda le emozioni non possiamo che citare “Sang Til Min Far”, che Terje aveva suonato anche l’ultima volta che lo abbiamo incontrato, lo scorso aprile all’Off di Bologna: le tonalità  sono country-folk con piano, violino e batteria tra i protagonisti, l’atmosfera è malinconica e, pur non capendo il testo, possiamo provare a percepire i sentimenti che sta provando il norvegese nel momento in cui la canta. Come ci aveva raccontato quella sera (e ora è scritto anche sulla press-release del disco), l’ha fatta sentire a suo padre un paio di settimane prima che morisse ed è l’unica volta nella sua vita che ha visto il genitore in lacrime. La “Canzone Per Mio Padre” ha davvero tanto da dire sotto il profilo emotivo.

Molto bella anche la title-track e recente singolo “Korsvej”, che vede una certa orchestralità  pop con un coro davvero godibile e ricco di melodie intriganti e mai scontate; mentre il vecchio singolo “Tango”, rilasciato la scorsa estate, diventa addirittura poppy e incredibilmente catchy e ci mette la voglia di ballare grazie a quel suo ritmo veloce e a un drumming che spinge.

Interessante anche “Ingenstedshen”: anche qui il musicista ora di stanza a Oslo cerca di spostarsi verso territori pop, ma molto raffinati con influenze jazz e orientaleggianti che vanno ad arricchire la tavolozza dei suoi colori.

Dopo la malinconica “Setesdal”, una cortissima traccia strumentale dalle tinte cupe ed eseguita con il solo violino, il disco si chiude con “Finnes Det En Kvinne”, che ci trasporta verso i conosciuti e tanto cari panorami indie-folk, semplici, ma alquanto piacevoli e toccanti.

Alla fine dell’ascolto ci accorgiamo che la lingua non è assolutamente una barriera, almeno nel caso di questo sesto LP di Nordgarden: Terje ha provato a usare nuove frecce per il suo arco, forse strizzando anche un occhio al pop in alcuni casi, e, a nostro avviso, è riuscito ““ ancora una volta ““ a colpire il bersaglio o almeno ad avvicinarsi parecchio.