Le vicende artistiche di Alexandra Savior sono come una serie di Netflix dove ogni puntata riserva un finale a sorpresa. Giovanissima fu scritturata dalla Columbia Records – siamo nel 2013 – grazie ad una discreta fama guadagnata per merito di un video da lei postato su Youtube (era una cover di “Big Jet Plane”) sotto il quale una certa Courtney Love commentò “Questa ragazza diventerà  una grande!” Il successivo spostamento da Portland a Los Angeles dove tra il 2014 ed il 2015 vennero scritti i brani del suo primo album “Belladonna of Sadness”. Piccolo particolare: i brani nacquero con la collaborazione di Alex Turner, celebre leader degli Arctic Monkeys. L’album, per non chiari motivi venne tenuto in quarantena fino all’aprile del 2017, ricevendo pareri discordanti, la maggior parte positivi ma alcuni, come quelli di Pitchfork, abbastanza duri, criticando lo stile e la forma dei brani troppo simile agli standard dell’artista di Sheffield: “un Album di Alex Turner dato alla Savior semplicemente perchè lo cantasse“. Forse il non eccelso successo commerciale dell’album spinse la major con sede a New York a concludere con un divorzio la collaborazione con la promettente artista.

Tornata a Portland, Alexandra si iscrive al college e la sua carriera in ambito musicale sembra conclusa. Magari un’esperienza nel campo della moda potrebbe esserle più congeniale. Fortunatamente un’etichetta discografica non così famosa come la Columbia, la 30th Century Records, si fece viva offrendole nuovo contratto e la possibilità  di pubblicare un nuovo album, da registrare negli studi di Brooklyn con la produzione di Sam Cohen (Kenin Morby, Norah Jones, Sharon Van Etten). Quello che ne è uscito è un album di spessore, canzoni che portano il peso di esperienze vissute con parole che arrivano direttamente ai nostri sensi. Il disco si apre con la splendida e delicata “Soft Currents” e si conclude con un altro brano altrettanto elegante, “The Archer”. Entrambi hanno mantenuto l’arrangiamento domestico che ne risalta la semplicità . “Ho avuto sette anni di sfortuna. Trovo la felicità  nei posti sbagliati, ogni volta“. Così inizia un album che ha i suoi momenti psichedelici più alti nel micidiale terzetto “Saving Grace”, “Crying All The Time” e la stupenda “Owl” con un basso ipnotico e intrigante, la ritmica che sferza colpi costanti, insistenti fino a stordirti e portarti in un mondo che non conosce limiti fisici. “Tienimi un po’ più stretta, ragazzo, sto cadendo all’indietro. Cammina più leggero, ragazzo, perchè non posso allontanarti dalla mia mente“. “Can’t Help Myself” con la sua dolce e triste melodia raggiunge una un livello di grazia che forse il Morrissey fresco di “Smiths Split” poteva raggiungere. La produzione di Cohen è accorta lasciando che la voce fragile e raffinata sia protagonista ma ha pure trovate geniali come i fiati in “Send Her Back” o l’intero arrangiamento di “But You”.

Diciottenne, Alexandra si è trovata schiacciata da un grande peso: la responsabilità  di essere in una major che detta le regole e ha grandi aspettative. Inoltre, aver avuto Alex Turner come co-autore, se da un lato è stato un esempio da poter imitare, dall’altro ha affievolito la luce della sua creatività . Con “The Archer” Alexandra ha potuto esprimere sè stessa in modo libero, scrivendo testi che esprimono le sue vere e personali emozioni. In questa trasformazione possiamo davvero apprezzare un’artista che ha molto da dire e che finalmente ha trovato la sua giusta identità .