di Beatrice Bianchi

All’ascolto, un brano dei Vanarin si pone come un viaggio tra l’Italia e l’Oltremanica, spaziando tra sonorità  che ripercorrono la storia delle musica dagli anni 70 in poi. Fin da subito si presenta come un tripudio di influenze che confluiscono in un prodotto nuovo, andando a costituire un genere che risulta terribilmente difficile da inquadrare in una singola etichetta: potremmo definirlo come un pop estremamente liquido e fluido che raccoglie dentro di sè sound che passano dall’electro, al synth-pop, al dream, psych-pop, strizzando l’occhio al funky, al beat e all’ r’n’b.

La band anglo-bergamasca riesce quindi a creare un prodotto che coinvolge l’ascoltatore in quelle che sono state fra le loro maggiori influenze ed ispirazioni, che si sentono riemergere nei brani, alcune in modo più sottile, altre in forma più esplicita, Beatles e Beach Boys fra tutti, ma nessuno si stupirebbe nel sentire affiorare alla memoria anche riferimenti ai Kraftwerk, agli Eurythmics o ai Soft Cell. La scelta stessa dell’inglese non solo pone la produzione dei Vanarin sulla scena internazionale, svincolandola dal singolo panorama italiano, ma costituisce una vera e propria dichiarazione di quelli che sono i punti di riferimento stilistici che maggiormente vengono a farsi sentire.

“EP 2” è il titolo del loro secondo prodotto musicale, un EP, per l’appunto, che prende in parte le distanze rispetto al loro primo album, “Overnight”, manifestando un’evidente esigenza di cambiamento. Ne risultano quindi cinque tracce che si caratterizzano per un’estrema, ma studiata godibilità : le canzoni sono infatti musicalmente complesse e stratificate, richiedono senza dubbio più di un ascolto per essere capite, forse mai del tutto. I riferimenti e gli arrangiamenti sono nascosti quindi sotto una patina pop, che le rende incredibilmente fruibili, ma impone, quasi subliminalmente, una concentrazione nell’ascolto quasi inaspettata.

Accompagnata da un sempre presente sintetizzatore, la voce riesce a creare un vortice che trasporta ben oltre lo spazio e il tempo, creando un piccolo prodotto esplosivo, di suoni mai banali o ripetitivi, proprio per la molteplicità  dei riferimenti, continuamente riarrangiati, e per la stessa profondità  dei testi, che non cadono mai in secondo piano rispetto alla musica.

Si definiscono quindi delle melodie introspettive, quasi oniriche, che proiettano i Vanarin nella rosa di quella produzione innovativa, ma al contempo riconoscente nei confronti delle proprie origini e della tradizione precedente, una produzione che prende polline da ogni fiore per creare un miele, originale e riconoscibilissimo.

Photo: Chiara Glionna