Oltre, ben oltre il punk-rock.

Perchè nella seconda metà  degli anni ’70, col punk al massimo della sua forma, era forse difficile immaginare qualcosa di sperimentale come quello che i Tuxedomoon misero sul piatto.

Certo, l’amicizia con gente come Devo (che se li portarono subito come spalla in concerto) e Cabaret Voltaire non fece altro che accrescere la curiosità  e l’intraprendenza di Blaine L. Reininger e Steven Brown, conosciutisi al San Francisco City College ed accumunati dalla passione per la musica. E dalla voglia di andare oltre gli stereotipi del momento.

Con il singolo “No Tears” (uscito poco dopo che a loro si aggiunse il bassista Peter “Principle” Dachert) che riusciva a fondere il post-punk, la new-wave, l’elettronica (vera passione dei fondatori) in modo stravagante, ossessivo, si presero le prime luci della ribalta, così che l’album d’esordio “Half Mute” uscito il 15 Marzo 1980 fu una quasi logica conseguenza.

Musica in arte, verrebbe a posteriori da dire, e già  la copertina kandinskiana in tal senso sarebbe più che un’avvisaglia: gli elementi delle correnti di cui sopra vengono stropicciati per poi essere usati, flirtando col jazz, l’ambient più mistica e cerebrale, senza la pretesa di uscire dalle mura della camera (o al massimo, della sala) con quell’atteggiamento avanguardista, quasi futuristico, che renderà  il loro lavoro storico.

Un miscuglio di qualità , ad un primo superficiale ascolto: perchè già  un secondo dopo l’introduttiva ed evocativa “Nazca”, basso pomposo, percussioni minimali quanto memorabili ed un ossessivo ritornello accompagnano “59 to 1”, dove il sax di Brown da nostalgico e struggente si fa, subitaneo, esuberante.

Anti-melodie, dissonanze armoniche delle più riuscite, ogni brano sembra come slegarsi dal precedente per poi ricucircisi successivamente. Dopo i sintetizzatori pulsanti e i violini nevrotici   di “Tritone (Musica Diablo)” e dell’angosciata “Loneliness”, i sensi sono ormai trafitti da aromi blues, funk, beat soffocanti, incastri apparentemente bislacchi ma che rilevano formule matematiche declinate all’arte visiva che tratteggia scenari eccentrici e fobici ora (“Fifth Column”), desolati e terrifici adesso (“James Whale” con le campane, la rumoristica aliena, e quella che sembra una corsa di uno strano animale polipode a scandire il tempo).

Quasi inaspettata quindi, per quanto tesa e di certo non amena, la sferzata new-waveggiante di “What Use”, prima che un basso pungente e lo sdrucciolevole violino gitano di “Volo Vivace” ci riportino in territori immaginari sconosciuti, e ci faccia risprofondare in un abisso d’angustia con “7 Years”: ancora, senza soluzione di continuità , è il sax di Brown, come da un angolo finora nascosto, a riaccendere una minima fiammella umana (sarà  anche il rumore di strada di città  che si percepisce, a tratti, in sottofondo) in un contesto che di tratti umani aveva fin lì fatto vedere ben poco, per quanto quel basso ripetitivo e le folate di rumore sembrano quasi volerci tenerci in continuo allarme, prima che sia il ritornello come “filastroccato” ed anni ’50 della coda “Seeding The Clouds”, accompagnata dagli acuti tasti di uno strampalato pianoforte che impazzisce grave nel finale, a segnare la coda di un’esperienza difficile da raccontare a parole.

Art Punk? Musica d’ambiente? Elettronica? New wave? Rock Psichedelico? Free Jazz? Più che un disco, quel 1980 regalò un contorto, teatrale, alienante ed a tratti delirante viaggio sonoro firmato Tuxedomoon. Che risulta ancora oggi difficile chiudere nei contenitori di genere.

Tuxedomoon – Half Mute
Data di pubblicazione: 15 Marzo 1980
Tracce: 15
Lunghezza: 40:04
Etichetta: Ralph Records
Produttori: Tuxedomoon

Tracklist
1. Nazca
2. 59 to 1
3. Fifth Column
4. Tritone (Musica Diablo)
5. Loneliness
6. James Whale
7. What Use?
8. Volo Vivace
9. 7 Years
10. KM
11. Seeding the Clouds