Sono ormai passate diverse settimane dalla fine del Festival di Sanremo, edizione che ha visto la partecipazione di Bugo accompagnato da Morgan, un’accoppiata per niente vincente, semmai, la definiremo discutibile. E se la triste performance sul palco dell’Ariston di Morgan ha fatto sì che Bugo fosse squalificato dalla gara, quel pezzo, dal titolo “Sincero”, ha fatto scoprire un artista di nicchia al grande pubblico.

Delusioni sanremesi a parte (da notare che, forse, dal punto di vista commerciale quello che è successo è stato un vero e proprio traino all’album), il nuovo disco di Bugo suona radiofonicamente bene, per musiche, testi e contenuti. Un pop che accarezza e spintona facendoti quasi danzare. Una novità  decisamente più commerciale, ma leale, per chi comunque ci ha sempre provato a trovare il suo posto al sole. Bugo è stato quasi sempre lontano dal mainstream (non ci dimentichiamo certo gli esordi lo-fi, folk e sbilenchi, tra un Beck allucinato e i Pavement più deraglianti, per le gloriose Snowdonia o Wallace Records), decidere di partecipare e trovarsi a 48 anni su un palco così prestigioso non dovrà  essere stato per niente facile.

Dall’ultimo lavoro,   “Nessuna scala da salire”, sono passati 4 anni, 2 invece da “RockBugo” una raccolta (evitabile) di canzoni del suo repertorio. Vent’anni di carriera, di live, concerti in club e locali alternativi che lo hanno allenato alla consapevolezza, cosa rara negli artisti di oggi, di chi è e cosa vuole raccontare, ma anche dove vuole arrivare. Anni in cui lui stesso è cambiato. Profondamente.

Abbiamo già  detto che si tratta di un disco pop, ascoltandolo attentamente vengono in mente molti artisti ai quali Bugo sembra essersi ispirato, soprattutto nel brano “Come mi pare”, dove ricorda (giuro) Biagio Antonacci (!). Ma i riferimenti sono anche in Battisti ed Ermal Meta, con cui duetta in un pezzo molto intimo dal titolo “Mi manca”.

Ci sono molti spunti di riflessione nei testi, argomenti sospesi tra passato e presente, racconti dalla provincia alla città , amori, famiglia e crisi, non solo sentimentali. I suoni sono decisamente curati e levigati ed è una cosa che si intuisce subito, soprattutto se si è dato uno ascolto a tutto il lavoro precedente dell’artista. Ma questo è probabilmente dato dal fatto che, nel corso degli anni, il budget a disposizione per registrare il disco sia aumentato notevolmente.

Bugo non è più indie ma è mainstream? Beh potrebbe non essere necessariamente una cosa negativa. Oggi Bugatti ha probabilmente trovato una collocazione musicale (che pare essere) più soddisfacente per sè stesso, in primis, e che sembra piacere anche ai nuovi fan. Sui vecchi non ci giurerei.

“Stupido eh?” ci ricorda addirittura Vasco Rossi, ed è forse questa la caratteristica di questo disco, ricordare un certo tipo di musica italiana, pulita, senza suoni distorti. Diciamo bravo a Bugo, che ha (finalmente?) fatto quel passo avanti verso il mondo più radiofonico ed easy. E’ la volta buona?