Ammetto di essermi approcciato con il giusto mix di trepidazione e timore a questo insolito progetto musicale di Luke Haines e Peter Buck. Il perchè è presto detto: chi vi scrive è un estimatore del lunatico quanto talentuoso ex leader dei The Auteurs – band primigenia del fenomeno britpop – e un fanatico dell’ex chitarrista dei R.E.M.

Insomma, vi erano in egual misura gli ingredienti affinchè questo disco finisse per esaltarmi o al contrario a deludermi oltremodo, con il conforto a portata di stereo della grandezza che fu.

Come spesso accade, invece, la verità  si trova esattamente nel mezzo, in quanto “Beat Poetry For Survivalists” contiene degli episodi convincenti, in cui è palese la discendenza nobile dei due autori, e altri che lasciano quantomeno basiti.

Che poi, onestamente, dubito che ad Haines come a Buck fosse balenata per la testa l’idea di abbracciare chissà  quali e quanti ascoltatori; penso piuttosto che si siano lasciati prendere dall’entusiasmo nell’avviare una collaborazione nata dalla stima reciproca ma anche frutto del caso, visto che pur conoscendosi artisticamente, i due si sono approcciati per tutt’altro. Peter Buck infatti era interessato ad acquistare uno dei quadri di Haines e questi ne ha approfittato per sottoporgli al di là  dell’Atlantico dei provini.

Ne è scaturito un lavoro godibile, in cui non mancano testi arguti e intrisi di quel sano cinismo che spesso e volentieri ha accompagnato i lavori del cantautore inglese, a iniziare dalla prima traccia “Jack Parsons”, così come non mancano delle belle trame chitarristiche di Buck, ma in genere non è il tipo di album che fa sobbalzare dalle sedie.

Latitano, e non poteva essere altrimenti vista la natura di un progetto nato “a distanza” (i due non si sono praticamente mai incontrati di persona), la coesione e un certo trait d’union che non sempre magari sono elementi   necessari ma che avrebbero sicuramente contribuito a rendere il tutto più spontaneo e naturale.

Nonostante ciò, un brano come “Apocalypse Beach” risalta eccome, forte di trame melodiche cristalline, un cantato avvolgente, sonorità  remiane periodo “Up” e quello che a mio avviso è il miglior ritornello dell’intera raccolta.

Altri episodi degni di nota sono la declamatoria “Beat Poetry For The Survivalist” e la più la riflessiva “Witch Tariff”, entrambe però penalizzate a livello di arrangiamento, che purtroppo finisce con l’appesantire l’atmosfera.

E’ un difetto che mi viene da rimarcare per gran parte dell’album e che denota forse quanto riferito in precedenza, il fatto cioè che l’album sia stato sì condiviso dai due autori ma non “vissuto” fino in fondo.

Alcune canzoni che magari presentano intuizioni interessanti o melodie carezzevoli divengono confusionarie per i suoni sin troppo disomogenei, specie nell’utilizzo diffuso, finanche massiccio, dei flauti, che poco o nulla si sposano con le chitarre o le tastiere.

In tal senso i risultati peggiori si verificano nella pacchiana “French Man Glam Gang”; ben diversa invece la resa di “Rock ‘N’ Roll Ambulance” che chiude la scaletta in maniera misurata, leggiadra, lasciando un po’ l’amaro in bocca per quello che poteva essere un album certamente migliore, visto il pedigree dei due co-protagonisti.

Indubbiamente sono canzoni fresche e vitali, specie se accostate ad altre di recente pubblicazione di Luke Haines (dove la concettualità  non andava a braccetto con la qualità  generale dell’opera), e che raggiungono a conti fatti la sufficienza: una sufficienza però piuttosto stiracchiata, frutto più di assodato mestiere e poco accompagnata dall’ispirazione dei giorni migliori.

Photo: David Lee / CC BY-SA