“Aporia”, disco frutto della collaborazione tra Sufjan Stevens ed il patrigno Lowell Brams, esce il 27 marzo. In un momento molto particolare per il mondo, in cui i giorni scorrono lenti e uguali, il nostro paladino preferito torna alla carica con una colonna sonora perfetta per questa strana primavera.

Un totale di ben 21 brani, quasi interamente strumentali, fatta eccezione per “The Runaround”: “Aporia” è questo e molto di più. Ambizioso ed atmosferico, l’album culla anche gli ascoltatori più reticenti, esortandoli a sognare ad occhi aperti.

Un disco molto diverso rispetto a quelli a cui ci ha abituati Stevens, “Aporia” assomiglia, in realtà , più ad una raccolta cruda ed onesta di jam sessions che è stata rifinita e contestualizzata. C’è molto istinto nelle tracce e, se si presta attenzione, si può indovinare che l’album sia in realtà  il frutto di dieci anni di improvvisazioni tra Stevens e il patrigno.

I titoli delle canzoni si caricano, di sicuro, di tutto il peso verbale del viaggio che Stevens e Brams ci vogliono far fare attraverso l’album. Le scelte cadono, ad esempio, su termini come “Misology”, “Palinodes” e “Ataraxia”. Rispettivamente: il termine con cui Platone nel Fedone indica la sfiducia, un componimento poetico nel quale si ritrattano opinioni già  professate, illustrando i motivi del cambiamento e  la pace dell’anima che nasce dalla liberazione dalle passioni.

Tutto in “Aporia” ci indica espressamente la volontà  narrativa dei due artisti. Che si parli di filosofia greca come in “Agathon”, di paesaggi come in “The Red Desert” o di compositori dimenticati come in “For Raymond Scott”, è chiaro che Stevens e Brams vogliano portarci a sondare delle storie e dei territori isolati. Nell’album prevale una sensazione ambient di non finito, di eterno rimando ad altri concetti, ma si avvertono palesemente le due colonne portanti del concept: la spontaneità  e la vicinanza affettiva dei due musicisti.

“Aporia” è un album al contempo misterioso e polverosamente luminoso. Il Gegenschein che viene ad alleggerire insperatamente questa quarantena che c’oscura i cuori.