Quasi sei anni dopo l’esordio intitolato “Geocidal”, l’avventura dei tÄ“tÄ“ma arriva finalmente al secondo capitolo. Dall’incontro delle brillanti menti del cantante Mike Patton (Faith No More, Mr. Bungle, Fantà´mas, Tomahawk“…) e del compositore Anthony Pateras nasce “Necroscape”, un album dalla fortissima vocazione sperimentale realizzato con il prezioso contributo del violinista Erkki Veltheim e del batterista Will Guthrie.

L’obiettivo del quartetto è decisamente ambizioso: unire l’immediatezza tipica del rock alla complessità  di tutte quelle sonorità  che è possibile far rientrare nell’insieme delle avanguardie, con un occhio di riguardo per la musica concreta e le esperienze multietniche.

Gli ingredienti alla base della ricetta crossover dei tÄ“tÄ“ma sono semplici e naturali. L’impiego di campionamenti, sintetizzatori e strumenti atipici ““ se non addirittura inclassificabili ““ quasi passa in secondo piano se lo si confronta al peso ricoperto dalle percussioni, vere protagoniste dei tredici brani di “Necroscape”.

Groove ultraterreni e tempi dispari fanno da cornice perfetta all’eccellente prova dietro al microfono di Mike Patton che, da esperto affezionato di effettistica, sembra sempre divertirsi un mondo a manipolare la propria voce. Un pizzico di tecnologia in un oceano di suoni analogici e insoliti.

Il futuro del rock, almeno secondo il parere dei tÄ“tÄ“ma, passa attraverso la riscoperta del passato. L’elemento digitale viene pressochè snobbato, nonostante non manchino certe atmosfere industrial, noise, math e trip hop in grado di regalarci sentori di modernità .

Pateras e Patton tracciano il loro personalissimo percorso evolutivo seguendo come stelle polari i ritmi tribali dell’Africa, i canti sciamanici dei popoli indigeni dell’Amazzonia e le più ancestrali melodie mediterranee, senza mai dimenticarsi delle loro origini e, soprattutto, della comune passione per i grandi autori di colonne sonore (Ennio Morricone in primis). No, i tÄ“tÄ“ma non possono essere considerati una band tradizionale: sono degli etnomusicologi prestati al rock.

Credit foto: Sabina Maselli