Si chiude con un saluto l’ultimo album pubblicato da Elliott Smith prima della morte, prima dell’incompiuto e postumo “From A Basement On The Hill”. Un requiem, un addio agrodolce non certo inedito nella poetica del cantastorie americano ma dal sapore quasi definitivo. “Figure 8” è frutto del lavoro di due anni, registrato tra Los Angeles e gli Abbey Road Studios a Londra, prodotto da Smith insieme a Tom Rothrock e Rob Schnapf.

Cinquantadue minuti in cui la mancanza di qualcuno o di qualcosa, il desiderio di contatto umano sempre potente nei brani di Elliott Smith diventa assoluto e solo in parte mitigato da arrangiamenti più complessi e melodici, tra Beatles e Beach Boys. “Figure 8” avrebbe dovuto chiamarsi “Place Pigalle” e un po’ di eleganza europea è rimasta in queste note: in a “Son Of Sam”, “Junk Bond Trader”, “In The Lost And Found” o “Can’t Make A Sound”.

Uno Smith diverso rispetto al ragazzo triste e tormentato di “Roman Candle”, al compositore del fortunato “Either/Or” e di “Miss Misery”, dal musicista di “XO”. Ancora più ambizioso e meno disposto ad accettare compromessi, in perenne ricerca della perfezione musicale pur sapendo di non poterla mai raggiungere, paragonava se stesso a uno skater che ripete lo stesso trick infinite volte solo per la soddisfazione effimera di farlo al meglio.

La copertina di Autumn DeWilde è diventata un pezzo di storia urbana: il muro alle spalle di Smith, che si trova sul Sunset Boulevard a Los Angeles, dopo la sua morte si è trasformato in un memoriale a cielo aperto. Distrutto e vandalizzato, altrettante volte ripristinato dai fan. Curioso tra l’altro notare che questa foto così famosa è stata parzialmente ispirata a quelle scattate da Keith Morris a Nick Drake, come la DeWilde ha raccontato in un’intervista tributo all’amico e collaboratore qualche tempo fa.

Vent’anni dopo tornano alla mente le armonie ben orchestrate di “Somebody That I Used To Know”, “Everything Reminds Me Of Her”, “Everything Means Nothing To Me” e “Happiness” senza dimenticare “I Can’t Answer You Anymore” e “Because” (pregevole cover dei Fab Four già  nella colonna sonora di “American Beauty”) approdate nella versione deluxe del disco. Un pensiero anche al testo di “Stupidy Tries” che molto racconta dell’Elliott Smithamico fragile” (per dirla come De Andrè) uomo oltre che artista: “The enemy is within / Don’t confuse me with him / The truth is otherwise“.

Data di pubblicazione: 18 aprile 2000
Registrato: 1998 ““ 2000 Sunset Sound, Capitol Studios, Sonora Studios, Abbey Road Studios
Tracce: 16
Lunghezza: 52:06
Etichetta: DreamWorks
Produttori: Elliott Smith, Tom Rothrock, Rob Schnapf

Tracklist

1. Son Of Sam
2. Somebody That I Used To Know
3. Junk Bond Trader
4. Everything Reminds Me Of Her
5. Everything Means Nothing To Me
6. L.A.
7. In the Lost and Found (Honky Bach)
8. Stupidity Tries
9. Easy Way Out
10. Wouldn’t Mama Be Proud?
11. Colorbars
12. Happiness
13. Pretty Mary K
14. Better Be Quiet Now
15. Can’t Make a Sound
16. Bye