E’ una metropoli illuminata e notturna a far da sfondo al nuovo album di Matthew Stephen Ward, musicista di classe attivo da tempo come solista ma conosciuto soprattutto come parte maschile del duo She & Him (insieme a Zooey Deschanel) e per la partecipazione al supergruppo Monsters Of Folk. Collaborazioni che hanno finito per mettere un po’ in ombra i tanti dischi realizzati in solitaria, dopo l’exploit di “Transfiguration of Vincent” nel 2003.

Un vero peccato perchè Ward ha mantenuto alta la qualità  della sua musica, sempre apprezzata dai colleghi come dimostra l’album “Post War” in cui il nostro collaborava con Howe Gelb, Jim James e Neko Case o il successivo “Hold Time” in cui comparivano Jason Lytle dei Grandaddy, Lucinda Williams e Tom Hagerman dei DeVotchKa.

“Migration Stories” è nato in Canada, nello studio degli Arcade Fire in compagnia di Tim Kingsbury e Richard Reed Parry, prodotto da Ward e Craig Silvery. Undici racconti di anime in movimento, storie di odierna e passata migrazione verso una città  immensa che da sogno spesso diventa incubo. La penna leggera, la voce dolce, aggraziata e un po’ roca di M. Ward regalano leggerezza e calore a brani in cui la chitarra acustica si sposa perfettamente al clarinetto e agli archi.

Trentasei minuti ispirati all’attualità , ai tanti articoli e reportage sull’odissea dei migranti sudamericani che provano a attraversare muri e confini a cui Ward affianca storie personali (quella del nonno arrivato in America nel 1920 dal Messico) e immagini raccolte on the road in decenni di viaggi musicali. Momenti raccontati nella dolcissima, sognante “Heaven’s Nail And Hammer”, in “Coyote Mary’s Traveling Show” e “Independent Man”. Curioso il recupero di “Along the Santa Fe Trail”, brano scritto dal compositore austriaco Wilhelm Grosz con testo di Al Dublin e interpretato da Glenn Miller, che Ward ripropone in una versione fedele all’originale ma non troppo.

“Unreal City” e “Real Silence” ascoltate oggi, quando anche le più caotiche capitali sono stranamente quiete e prive dell’odiato / amato rumore, diventano colonna sonora di questo strano periodo in modi che M. Ward quando le ha scritte certo non poteva immaginare. Non c’è tristezza nelle note e nel sound familiare, accogliente di “Migration Stories”. Solo la consapevolezza che anche dalle notizie peggiori si può trarre qualcosa. E’ molto, di questi tempi.