Gli anni ’70 furono magici per i Black Sabbath: album di successo, tournèe da tutto esaurito e la soddisfazione di aver contribuito in maniera determinante a plasmare un genere musicale ““ l’heavy metal, naturalmente ““ poco apprezzato dalla critica ma amato fino all’ossessione da stuoli di fan. Eppure, per uno strano scherzo del destino, il decennio che regalò loro la fama eterna si concluse disastrosamente male. Il licenziamento di Ozzy Osbourne non fu che l’apice di un travagliatissimo periodo nero, segnato da flop commerciali, perdita di stimoli, rapporti personali ridotti ai minimi termini e vizi a non finire. Rimasti senza il loro frontman, i tre superstiti della band di Birmingham ““ il chitarrista Tony Iommi, il bassista Geezer Butler e il batterista Bill Ward ““ si ritrovarono incastrati in un tunnel apparentemente senza uscita. A guidarli verso la luce, quando ogni speranza sembrava ormai svanita, fu la provvidenziale apparizione di Dio. Ronnie James Dio.

Il primo contatto tra i Black Sabbath e il portentoso ex cantante di Elf e Rainbow avvenne nel 1979. A presentarlo a uno Iommi sempre più disperato per lo sfaldarsi del progetto di una vita fu Sharon Arden, figlia del noto manager musicale Don e futura moglie di Ozzy. Bastarono poche prove e una manciata di brani scritti insieme per far scoccare la scintilla che portò alla pubblicazione di un lavoro destinato a lasciare un segno nell’evoluzione dell’universo hard rock degli anni ’80: il fresco quarantenne “Heaven And Hell”.

Per i padri nobili dell’heavy metal, questo album rappresentò l’inizio della fase due di una carriera apparentemente impossibile da risollevare. Ripresentarsi sotto il moniker Black Sabbath con una voce decisamente differente rispetto a quella originale fu come lanciare un guanto di sfida ai fan più spocchiosi, ovvero quelli che considerano eretico ogni minimo cambiamento all’interno di un gruppo.

Tralasciando il fatto che la forza stessa di tante band siano state proprio le continue defezioni e sostituzioni (vedi i Deep Purple), a posteriori qualcuno potrebbe storcere il naso davanti alla decisione di Tony Iommi di non dare un nome alternativo alla rinnovata creatura. Cosa che tra l’altro avvenne davvero in occasione della seconda reunion con Ronnie James Dio, avvenuta sul finire degli anni 2000. I Black Sabbath, tuttavia, hanno attraversato più o meno indenni innumerevoli epoche, tutte contraddistinte dal frequente alternarsi di frontman: dai fasti con Ozzy Osbourne fino al breve flirt con Ian Gillan, per arrivare poi alla breve esperienza con Glenn Hughes e a quella molto più lunga con Tony Martin.

L’era di “Heaven And Hell” non sarà  stata la più splendente, ma resta sicuramente una delle migliori. L’esordio con Ronnie James Dio alla voce è caratterizzato da sonorità  più melodiche, raffinate ed epiche rispetto a quelle impresse nei classiconi del favoloso triennio 1970-1973. Una cavalcata hard rock come “Neon Knights” non ha nulla da spartire con l’oscura pesantezza di una “Electric Funeral” o di una “Lord Of This World”: è una brillante prova di heavy metal dai toni limpidi e aggraziati.

Il prestigioso sostituto di Ozzy non si limita a cantare sopra i riff di Tony Iommi – straordinari come sempre – e segue traiettorie parallele rispetto a quelle tracciate dal comparto strumentale. In “Heaven And Hell”, per farla in breve, non c’è spazio per pezzi compatti e monolitici come “Iron Man” o “N.I.B.”. Della cupa genialità  dei primi capolavori non restano che brandelli, la maggior parte dei quali inclusi nella lenta e blueseggiante “Lonely Is The Word”. Il resto dell’album, in parte influenzato dalla nascente New Wave of British Heavy Metal, si muove sulla scia della classe e della competenza che appartengono ai più navigati professionisti del mondo della musica.

Troppi i brani da consegnare alla storia del metal. Tra i più memorabili vi sono “Children Of The Sea”, con la sua dolce introduzione acustica; la maestosa “Heaven And Hell”, impreziosita da uno dei più bei riff mai realizzati dal maestro Iommi; la fulminante “Wishing Well”, con un Ronnie James Dio al massimo della forma; la rapida “Die Young”, che scorre veloce come una saetta e sembra anticipare le future evoluzioni del genere. Non abbiate pregiudizi: se pensate che senza il buon Ozzy Osbourne i Black Sabbath non abbiano fatto nulla di valido, vi sbagliate di grosso. Questo è solo uno dei tanti esempi.

Black Sabbath ““ “Heaven And Hell”
Data di pubblicazione: 25 aprile 1980
Tracce: 8
Lunghezza: 39:46
Etichetta: Vertigo
Produttore: Martin Birch

Tracklist:
1. Neon Knights
2. Children Of The Sea
3. Lady Evil
4. Heaven And Hell
5. Wishing Well
6. Die Young
7. Walk Away
8. Lonely Is The Word