Richard Patrick deve essere un tipo davvero tosto. Magari non quanto il fratello Robert, l’attore passato alla storia del cinema d’azione nei panni del tremendo androide T-1000 nel film “Terminator 2 ““ Il giorno del giudizio”; ma comunque a chi mai verrebbe voglia di far arrabbiare uno con una faccia così? Il viso lungo e affilato, come una lama pronta ad affondare nella carne. Gli occhi a spillo e lo sguardo di ghiaccio, tipico di tutti coloro con cui è meglio non scherzare.

La vecchiaia gli avrà  pure ingentilito i tratti somatici ma tanti anni fa, all’epoca in cui la rabbia giovanile ancora gli bruciava nel petto, la storia era assolutamente diversa. Quando trovò il coraggio necessario per abbandonare i Nine Inch Nails, alla viglia del trionfo di “The Downward Spiral”, lo fece per coltivare un sogno apparentemente irraggiungibile: infondere un tratto di umanità  tra le gelide atmosfere sintetiche dell’industrial rock.

Il tuttofare Patrick, al contrario di Trent Reznor, non voleva cedere facilmente alle lusinghe dell’elettronica: voleva plasmarla secondo le sue esigenze, trasformandola in una perfetta quanto discreta cornice attorno alla quale cucire un sound ruvido, viscerale e incazzato, dominato dalla potenza della chitarra elettrica. Per ottenere ciò che desiderava, trascorse buona parte del 1994 rintanato in uno studio di registrazione. Ne uscì fuori solo l’8 maggio 1995 quando, in compagnia del polistrumentista Brian Liesegang, presentò al mondo il primo album dei Filter: il fulminante “Short Bus”.

Qualcuno, limitandosi a un ascolto assai superficiale, potrebbe inserire questo lavoro nella categoria “post-grunge con la drum machine”, o magari bollarlo come una versione mainstream dei ben più brutali Godflesh; ma in realtà  si tratta di un disco particolarmente ricco e complesso, nonostante l’indubbia povertà  di ingredienti.

Queste undici tracce sono tanto scarne quanto brulicanti di idee: nelle sapienti mani di Richard Patrick, il tipico alternative rock anni ’90 non rinuncia al gusto per la melodia ma si appesantisce, si incupisce e si incattivisce, preparando la via per buona parte dei futuri protagonisti della stagione alt/nu metal.

I Filter degli esordi privilegiano i suoni aspri ma massicci, puntando poco o nulla sull’effettistica. I protagonisti principali di “Short Bus” sono i riff: semplici, poco raffinati ma quasi tutti memorabili. Quello sul ritornello del classicone “Hey Man Nice Shot” è straordinario, ma anche quelli di “Take Another” e “Gerbil” meritano, con i loro richiami più che evidenti all’hard rock e al grunge.

L’elemento industrial, apparentemente relegato sullo sfondo, rende abrasivi persino i brani più “dolci” dell’opera, ovvero “Stuck In Here” e “So Cool”: due ballad scheletriche e inquietanti che Patrick canta in tono sommesso, forse facendo un po’ il verso al Kurt Cobain di “Something In The Way”. Si tratta comunque di un paio di piccole deviazioni lungo un percorso dominato da mazzate spaventose (“Dose”, “Under”) e torture lente ma appaganti (“It’s Over”, “White Like That”). Un micidiale ““ ma splendido ““ pugno nello stomaco che lascia senza fiato da ormai un quarto di secolo.

Filter ““ “Short Bus”
Data di pubblicazione: 8 maggio 1995
Tracce: 11
Lunghezza: 45:57
Etichetta: Reprise
Produttori: Richard Patrick, Brian Liesegang

Tracklist:
1. Hey Man Nice Shot
2. Dose
3. Under
4. Spent
5. Take Another
6. Stuck In Here
7. It’s Over
8. Gerbil
9. White Like That
10. Consider This
11. So Cool