Abbiamo conosciuto ed intervistato Yosonu e la sua sperimentazione sonora e ne siamo rimasti molto colpiti. Spesso e volentieri molti artisti cercano di limitarsi, rientrando in un genere musicale che potrebbe star stretto rispetto alle diverse esigenze creative. Yosonu rompe gli schemi e ci mostra come poter far musica sperimentale nel 2020. Buona lettura!

Yosonu, raccontaci com’è nata la tua passione per la sperimentazione musicale ed ovviamente per la musica

Da piccolo ascoltavo per ore i Metallica e suonavo con le dita sul tavolo (pure ora), credo sia nata lì la passione per la musica. Per la sperimentazione è avvenuto molto più tardi, di recente direi. Ho suonato alla batteria per diversi anni anche per alcuni artisti, eseguendo ed imparando sempre cose nuove, divertendomi anche parecchio. Però ad un certo punto è scattata la molla che mi ha fatto pensare che dovessi fare qualcosa di mio, perchè quello era ciò che volevo. Muovermi su territori sperimentali è stato quasi fisiologico, perchè “cercavo e cerco” un modo personale di produrre musica, diversa da quella che ho già  fatto.

Come definiresti il tuo ultimo lavoro?

Ho utilizzato una serie di parole per descriverlo a me stesso, l’ho fatto come esercizio perchè avevo bisogno di metterlo a fuoco, subito dopo aver finito il master. Non segue o insegue generi, è molto libero e quindi vario, che non è detto automaticamente sia un bene per chi lo ascolta: spesso è comoda la certezza che se metti su un album ascolti qualcosa di “simile” per tutto il disco, e ci sta, questo intendo. Ci sono testi stavolta, a differenza del passato. è politico per i temi affrontati in alcuni brani, è industriale per alcuni suoni e ambientazioni, è popolare per alcuni, complicato per altri.

Parlaci delle collaborazioni di Namastereo.

Nel brani di apertura e chiusura dell’album ho scritto parti per 6 strumenti (più le mie percussioni) e ho chiamato dei cari amici a suonarle: Giuseppe Federico  al fagotto, Domenico Modafferi  al violino, Eliana Moscato al flauto traverso, Valeria Caudullo al basso elettrico, Davide Mezzatesta  alla chitarra, Mario Licciardello al violoncello. Li abbiamo registrati dal vivo, tutti assieme, ammetto che non è stato semplicissimo, ma sono parecchio contento del risultato. Per “Cucumanda”, il primo estratto uscito, ho contattato Enrico Gabrielli e che ha registrato i clarinetti bassi in totale libertà , le sue parti le ha scritte lui e mi hanno lasciato a bocca aperta. Infine, per “Silence” mi serviva una precisa voce (calda e mediterranea) e ho proposto la cosa a Lavinia Mancusi. Si è detta entusiasta sin da subito, così le ho mandato le parti e nell’ultimo tour di “Happy Loser”, mi sono ritagliato uno spazio per registrarla tra un concerto e l’altro, e ora la sua voce si muove sinuosa sulle mie interruzioni elettroniche. Pensandoci bene ho avuto davvero tanti ospiti stavolta.

Hai pensato a qualche live particolare per portare in giro (quando sarà  possibile) il tuo disco?

I miei live finora sono stati concerti di musica spontanea, nata sul momento e che vedevano passare qualche frammento di brani su disco solo quando il flusso delle idee ne creava i presupposti ritmici e melodici. Per “Namastereo” mi ero fatto un piano un po’ diverso, volevo finalmente suonare intere parti dell’album, dal vivo, “alterandole” e portandole verso territori più liberi e improvvisati comunque. L’idea però si è scontrata con l’attuale limbo. Magari manterrò tutto come pensavo, ma potrebbe darsi che i mesi a seguire mi faranno cambiare idea, vediamo.

Parteciperesti mai ad un talent?

Mi avevano contattato dopo l’uscita di “GiùBOX” per propormelo. Mi hanno chiesto di “togliere la voce perchè c’era già  una ragazza che usava i loop cantando“. Il mio lavoro si sarebbe ridotto del 50% e glielo feci presente, un po’ incazzato (non mi pare normale vincolare una forma espressiva no?). Rilanciarono, dicendomi che “dal punto di vista televisivo se avessi scelto un tema, ad esempio la cucina, e mi fossi presentato vestito da chef a loopare oggetti per cucinare sarebbe stato fichissimo e a casa il pubblico avrebbe gradito sicuramente“. Avrebbero ridotto qualunque musicista ad una pantomima di dubbio gusto, glielo feci presente, incazzato ancora di più, stavolta declinai definitivamente. Insomma, possiamo pensare che giudicare a priori un talent show sia sinonimo di chiusura mentale, ma il contenitore che lo ospita è la televisione, per di più della prima serata. Se ci si potesse esprimere al netto delle scenette con famiglie in studio, al netto di casi umani, al netto di bambini piccolissimi gettati in pasto allo “show”, al netto di cover+cover+cover, dei 100 secondi di spazio, se e ancora se, allora se ne potrebbe parlare. Ma diciamocelo chiaramente non è quello il posto: trovo incompatibile la possibilità  che buone idee musicali passino dai talent show, così come spero che mai e poi mai una qualunque proposta progettata o misurata per un talent possa esibirsi in un club o festival dove nascono e crescono i grandi artisti.

Quali sono i tuoi prossimi futuri progetti?

Sono “sospeso”, come tutti del resto, ma se si sblocca la situazione mi piacerebbe riprendere a suonare dal vivo.

Grazie per la disponibilità ! Adesso tocca a te, ringrazia pure chi vuoi!

Grazie mille a voi per lo spazio. Grazie a chi ha reso possibile che Namastereo prendesse forma, tutti.

Foto di Valeria Caudullo