di And Back Crash

I Siouxsie & the Banshees nacquero dall’humus effuso dal proto-punk maledetto di Velvet Underground e Stooges, mutuando la teatralità  decadente del glam e fondendola con il nichilismo “no future” del punk rock. Guidati da Siouxsie Sioux (all’anagrafe Janet Susan Ballion), discepola di Nico e Patti Smith, la band ha originato dagli stessi ambienti dei Sex Pistols, per attraversare una parabola che li ha visti ideologi e principali esponenti del filone “dark” e infine rifluire verso un cantautoriale pop alternativo. Riassaporiamo la loro discografia con dieci pezzi in ordine cronologico.

10. Hong Kong Garden 1978,
da “The Scream”

Come da tradizione punk, i Banshees sono un gruppo da singoli: l’urgenza epidermica trova maggior giustificazione nei tre/quattro minuti canonici rispetto al brodo diluito di un LP. Il balletto orientale “Hong Kong Garden” li lancia nel panorama musicale dell’epoca, a cui fa seguito l’esordio su lunga distanza di “The Scream”, dello stesso anno, che avrà  un’influenza incalcolabile sui costumi e gli stereotipi del nascente rock gotico. Siouxsie, irrequieta e lamentosa, si dimena circondata tutt’attorno da ritmi marziali, chitarre scorticate e ipnotici giri di basso. Almeno i Cocteau Twins e i Cure devono mezza carriera a questo acerbo debutto.

9. Playground Twist
1979, da “Join Hands”

Dopo un altro singolo ad effetto (“The Staircase Mystery”), l’anno successivo uscì il secondo album “Join Hands”, accolto meno calorosamente dalla critica. Incupite ancor più le tonalità , il loro post-punk cadaverico inizia a tracciare le coordinate di riferimento per un genere che vedrà  il suo massimo fulgore agli inizi degli anni “’80. La frenesia è stemperata in favore di un atteggiamento messianico che recupera la lezione dei Doors, ma il brano di punta è la vorticosa cavalcata “Playground Twist”, col suo corollario di declamazioni gutturali e campane mortuarie.

8. Christine
1980, da “Kaleidoscope”

Come suggerito fin dal titolo, il terzo “Kaleidoscope” introduce un primo alleggerimento al sound, eliminando del tutto la veemenza punk per una più raffinata mà lia psichedelica. Siouxsie sfoggia insospettabili doti di chanteuse, e tutto l’album suona molto più musicale dei precedenti. “Christine” è uno dei loro grandi classici, di certo il primo a rinunciare alle distorsioni ansiogene delle chitarre.

7. Israel
1980, da “Israel” (single)

Tra il 1979 e il 1980 avevano esordito su LP anche Cure e Bauhaus, e in Inghilterra era nato il gothic rock, di cui Siouxsie è riconosciuta madrina. Il periodo d’oro durò un paio d’anni e raccolse consensi commerciali e di critica, tanto che pure band che poco o nulla avevano a che farci finirono, più o meno a loro insaputa, dentro il calderone (Damned, Killing Joke, Psychedelic Furs, persino i Joy Division). “Israel”, uscito su singolo, è forse il picco della band in questo genere naà¯f e ne preannuncia il capolavoro.

6. Spellbound
1981, da “Juju”

“Juju” non è solo il miglior album della carriera, ma è anche una pietra miliare del gothic rock e, insieme al disco d’esordio, il loro lavoro più influente, ben al di là  degli steccati del genere: l’attrattiva verrà  esercitata soprattutto sul rock alternativo che dominerà  la scena per i lustri successivi. L’apertura è “Spellbound”, una specie di rituale stregonesco cesellato dal fantasioso e implacabile lavoro alle chitarre di John McGeoch, che riscuoterà  crediti da Ed O’Brien (Radiohead) e Johnny Marr (The Smiths).

5. Arabian Knight
1981, da “Juju”

Il richiamo alle tradizioni africane è il pretesto per abusare di un sinistro tribalismo e incorporarlo nelle loro visioni cerimoniali. In questo azzardo sincretico, Siouxsie dà  le migliori prove della carriera ed è al culmine del proprio magnetismo. “Arabian Knights” fluttua in filigrana come una reminescenza ancestrale e si crogiola in esotici svolazzi, anticipando il metodo del dream pop. Stavolta, il cuore rapito è quello di Billy Corgan (The Smashing Pumpkins).

4. Sun In My Heart
1981, da “Juju”

Quando i Siouxsie & the Banshees copiano i se stessi del passato, il risultato è l’accelerazione mozzafiato di “Sin in My Heart”, un turbine maniacale di pulsazioni di basso, coltellate, vortici psichedelici e vetri spezzati, sparato a tutta speditezza contro un muro.

3. Dear Prudence
1983, da “Nocturne”

Dopo quell’ardito esperimento, i Banshees vireranno gradualmente su un art pop dove le tinte gotiche spennelleranno più l’estetica che la sostanza. Sul quinto album “A Kiss in the Dreamhouse”, uscito nel 1982, Siouxsie canta da diva più che da strega, e il complesso si adegua con uno sciatto pop psichedelico di accompagnamento. Perso McGeoch per problemi di alcol, lo rimpiazza Robert Smith dei Cure: la cover di “Dear Prudence” dei Beatles diventa il loro più grande successo di classifica.

2. Dazzle
1984, da “Hyaena”

Con Smith ormai integrato nel gruppo, nel 1984 esce il sesto “Hyà…na”, che però retrocede ulteriormente rispetto alle premesse degli esordi, flirtando pericolosamente con rilassate sonorità  mediterranee. Lo salva dalla mediocrità  la tambureggiante “Dazzle”, una tempesta sinfonica al galoppo che rieccheggierà  in “Running Up That Hill” di Kate Bush ed ancor più nei pesanti arrangiamenti di “Disintegration” degli stessi Cure. Anni dopo, l’album riceverà  l’apprezzamento dall’ala glam del britpop, segnatamente Manic Street Preachers e Suede.

1. Cities In Dust
1986, da “Tinderbox”

L’ultimo lavoro che rende ragione al mito è il settimo “Tinderbox”, un deciso colpo di coda che chiude nel migliore dei modi la loro stagione aurea. Recuperato il piglio luciferino, Siouxsie smette i panni della macchietta da circo demodè e diventa cantante adulta. Tutto il gruppo è giunto a maturazione e leviga brani articolati come l’infuocata filastrocca da esorcisti “Candyman”, che meriterebbe un posto in questa lista. Per non sbilanciarne il peso verso un disco comunque minore, ho selezionato la sola “Cities in Dust”, uscita su singolo l’anno prima, arcana danza elettronica ed ideale epitaffio di una carriera disorientante ma gravida di intuizioni vincenti.

Gli album seguenti saranno la raccolta di cover “Through the Looking Glass” (1987), “Peepshow” (1988), il migliore della fase calante, con il pezzo forte “Peek-a-Boo”, ed infine “Superstition” (1991) e “The Rapture” (1995), oramai dischi pop a tutti gli effetti. L’ultimo grande successo fu “Kiss Them for Me” (da “Superstition”). Senza scomodare un’avanguardista come Diamanda Galas, la Siouxsie degli ultimi anni non raggiunge neppure un’unghia della sincera devastazione interiore di artiste come Lydia Lunch, di cui sembra semmai un versione edulcorata per famiglie.

L’impatto di “The Scream” su post-punk e gothic rock, e di “Juju” sull’alternative rock e sul revival new wave degli anni 2000 è però indubbio e difficilmente quantificabile. La figura di Siouxsie Sioux ha peraltro creato una pletora di adepte, da PJ Harvey a Shirley Manson dei Garbage, ed è tuttora il riferimento di qualsiasi cantante che si presenti in scena con cerone, capelli corvini e di nero vestita; a conti fatti, tanto basta a garantire al gruppo un rilievo apicale nella storia del rock degli anni “’80.