Esiste una nuova ondata inglese che molti dichiarano che vada a pescare più o meno nel post punk, se state leggendo questa recensione immagino sia inutile nominare le band, però è un panorama che indubbiamente sta dando qualche soddisfazione e più di un album da ascoltare con piacere.

Che facciamo ci infiliamo anche questi Sports Team? Possiamo sicuramente dire che alcuni riferimenti al punk non possiamo non notarli, magari con una certa propensione ad un approccio melodico alla  Buzzcocks, ma che molto oltre non si va,  assume piuttosto maggiore rilevanza la loro già  riconosciuta capacità  live di notevole intensità  e richiamo, in grado di attirare una immediata e numerosa partecipazione di una già  folta schiera di fan e il carisma del frontman Alex Rice, che non possiamo proprio ignorare per la sua notevole presenza scenica che sembra pescata nell’ordine da Mick Jagger, Iggy Pop e perchè no anche dall’eleganza e dalla classe di Jarvis Cocker.

Arriva quindi questo primo album che forse ci farà  chiarezza,   anche se  in fondo ad osservarlo bene è una specie di greatest hits, visto che raccoglie molti pezzi già  usciti come singoli e nei loro EP, ma che comunque ci permette di ascoltarli meglio e in modo più preciso, attraverso una lunghezza che devo dire non stanca e una raccolta di brani che acquista interesse ascolto dopo ascolto.

Un sound che ha un suo stile e una sua riconoscibilità , pur finendo per apparire pieno di riferimenti che vanno ad attraversare vari periodi dell’epopea musicale inglese, dal già  citato punk al brit pop, tutto contraddistinto da tanta energia, sfrontatezza, pienezza di sè ed ego, una carica ironica e deliziosamente supponente e da una determinazione a lasciare il segno tipica delle rockstar.

Qualche anno fa il “fine pensatoreLiam Gallagher affermò, in una intervista al Sunday Times, che ormai non esistevano più le rockstar: argomentò il tutto spiegando come dovevano essere queste nuove rockstar, ovvero provenienti dalla working class, vestiti con giubbotti di pelle, e intenti a fare danni durante i fottuti tour, e, soprattutto, non essere i Coldplay.

Lasciando da parte le simpatiche argomentazioni, posso essere in accordo su due punti, il primo riguarda i Coldplay, il secondo che ormai da decenni non nascono vere rockstar, ne restano in giro pochissimi esemplari ancora capaci di ricevere venerazione incondizionata, pochi superstiti che dovrebbero essere preservati come creature in via di estinzione.

Riusciranno questi ragazzi della middle class studenti a Cambridge ad essere le rockstar di questa nuova ondata inglese? Non riesco a dare una risposta ma una cosa è certa ci proveranno, e questo è sicuramente un bene. A noi per ora basta questo album valido e interessante,   pieno di brani riusciti e coinvolgenti, il loro stile e la loro attitudine polemica diretta e schietta.

Questo finisce per posizionarli di lato della nuova ondata post punk e in questo a differenziarsi, mettendo in campo un approccio personale cosi come accadde anni fa con i Libertines che in un contesto diverso, imposero sul campo il loro stile e il loro distanziamento dal coro.

Quindi iniziamo a parlare di qualche pezzo e cominciamo, a proposito di intenti polemici, da “Camel Crew”, già  definito diss track, nel quale non so se se la prendano con Goat Girl, Shame, Happy Meals o HMLTD, anche se propendo per questi ultimi , ma so che  il pezzo funziona e il testo è davvero divertente, così come il singolo “Here’s The Thing”. Consiglio il video, dopo il quale non potrai più ascoltare il pezzo senza avere davanti agli occhi Alex Rice che balla come fosse una composizione genetica di Mick Jagger plus Iggy Pop, con un testo divertente e assolutamente vero.

Attenzione però che i brani da ascoltare sono molti, si finisce trasportati da energia e voce e, passato il primo ascolto, anche da una certa freschezza e sfrontatezza  giovanile che contagia brano dopo brano, come in “Here It Comes Again” e in “Going Sof ” passando per la bellissima “The Races” e per “Kutcher”, che solo per il delizioso testo si merita l’applauso: “..You fuck with my system again I’ll take your favourite pen I’ll take your t shirt and put it in the wash Then when you go out in public Your fabric will be fucking soft I guess you got punk’d ‘cause Ashton Kutcher’s got nothing on you Ashton Kutcher will be laughing at you I just wanted to be your Demi Moore…“.

Esordio con i fiocchi per una band che farà  (e fa) sicuramente parlare di se, decisa ad imporsi e diventare protagonista: per ora iniziano un percorso che seguiremo attentamente.