Dalle radici di puro shoegaze sono rispuntati dopo ben ventidue anni gli statunitensi Hum. La band di Champaign, Illinois, si presenta a sorpresa il 23 giugno scorso sulla piattaforma Bandcamp con un nuovo lavoro, “Inlet”, dal quale si sprigiona una potenza capace di abbattere qualsiasi “sound barrier”!

L’inizio di questo quinto album in studio – che succede dunque all’ottimo “Downward Is Heavenward” del lontano 1998 – è devastante perchè nell’opener “Waves” è imbastito tutto il menu del disco che evoca plettrate di tipica impronta “Siamese Dream” dei conterranei Smashing Pumpkins.

L’ambientazione non si discosta, quindi, da quello che siamo stati abituati ad ascoltare da Matt Talbott e soci che sorvolano le più alte vette nineties senza perdere in tutti questi anni di assenza la loro peculiare caratteristica, ovvero la capacità  creativa unita alla  imponenza dei loro riffoni di guitar!

A tal proposito, il virtuoso giro di chitarra di “In the den” prepara la scena ai nove minuti di “Desert Rambler” avvolti da una apparente quiete psichedelica ed ipnotica che si contrappone alla “breve” successiva “Step into you” la quale riporta il quartetto di “Stars” in circuiti più rock alternative.

Sebbene il disco si dipani in “sole” otto tracce, il minutaggio è senza dubbio importante ancorchè mai noioso o ripetitivo, come ad esempio nel miglior esempio “The Summoning” dove la potenza di fuoco del sound si abbatte come un missile sul muro di chitarre appositamente preparato per l’occasione.

E così, la dura esperienza musicale che gli Hum ci regalano dopo tutto questo tempo continua su territori grunge/post-hardcore con “Cloud City” nella quale nel finale riecheggiano note accelerate che ben potrebbero fare la felicità  di Tom Morello.

Nella parte bassa della tracklist risiede il motivo del voto intorno al cerchietto giallo perchè brani come “Folding” e, soprattutto, come la closing track “Shapeshifter” – con il suo incedere lento e sofferto – rendono compiuta la reunion di una band che ben ha saputo mettere in piedi un album convincente, senza orpelli e di sicuro interessante.

Bentornati. Davvero.