Paul Weller ha vissuto una sorta di seconda o terza giovinezza negli ultimi dieci / quindici anni, impegnato come non mai a far dischi con una libertà  che forse mai gli era stata concessa (neppure ai tempi di The Jam e The Style Council). Non una vera e propria rivincita, il successo ha continuato a sorridergli grazie ad album come “Stanley Road” e “Illumination” tra metà  anni novanta e inizio millennio, ma una continua rinascita.

Riscossa partita con la tripletta “22 Dreams” – “Wake Up The Nation” ““ “Sonik Kicks” capace di far conoscere The Modfather a un nuovo pubblico e di risvegliare l’interesse dei tanti aficionados che attendono ogni uscita con spasmodica curiosità . Weller non si è praticamente mai fermato, continuando a suonare e incidere con regolarità . Questo strano 2020 che l’ha visto restare orfano di tour e praticamente “disoccupato per la prima volta in 43 anni” (parole sue) regala l’uscita dell’album solista numero quindici.

“On Sunset” è ambizioso, sperimentale nel sound e negli arrangiamenti pur senza rinnegare l’anima soul – rock per cui Weller è noto. Ha sempre avuto fame di novità  il Modfather, voglia di spingere voce e chitarra in territori pericolosi. Lo fa anche questa volta cercando la contaminazione dove può, senza forzature. Qualche dubbio in realtà  l’ha avuto prima di pubblicare un disco di sessanta minuti e passa in un’epoca di scarsa pazienza e attenzione. Incertezze superate in fretta.

Iniziare le danze con l’R&B distorto, cangiante, spruzzato di elettronica di “Mirrorball” è un atto di coraggio che ricorda le evoluzioni di “In Another Room” stranissimo EP di musique concrète che Weller ha pubblicato a gennaio per Ghost Box Records. Il ritmo diventa incalzante, avvolgente in “More”con tanto di sfiziosa coda strumentale.

L’astro nascente Col3trane è ospite d’onore in “Earth Beat”: un duetto in bilico tra neo soul e rap con tocchi orchestrali (già  presenti nella title track) e un crescendo gradevole. Nota di merito per la divertente “Equanimity” con Jim Lea degli Slade al violino, per “Ploughman”, “Rockets” e “I’ll Think Of Something” in cui la calda ugola del Nostro dà  il meglio.

Le sperimentazioni welleriane (vedi “4th Dimension”) riescono meglio di quelle di tanti altri artisti della sua generazione e per i più nostalgici ci sono sempre brani “classici” come “Baptiste”, l’energica “Old Father Thyme” e la dolce “Village” con l’ex Style Council Mick Talbot alle tastiere. Qualche avventura ma nessuna rivoluzione per un album ottimista con infinite anime e un unico cuore, ovviamente a forma di Union Jack.

Credit foto: Nicole Nodland