La rabbia che mi sale quando ascolto questo disco è indescrivibile. “False Cathedrals”, secondo album degli Elliott è, a mio personalissimo avviso, uno dei dischi più sottovalutati della storia della musica. All’epoca ebbe un buon riscontro, ma era un periodo in cui la parola emo era piuttosto usata e ricorrente e anche le vendite furono tutto sommato incoraggianti, ma poi nel corso degli anni finì nel dimenticatoio, un po’ come la produzione della band del Kentucky, che in realtà  vanta ben tre lavori per Revelation Records. Dico nel dimenticatoio perchè a tutt’oggi, quando si ricordano gli anni d’oro dell’emo made in USA, raramente gli Elliott di Chris Higdon (cantante pazzesco!) sono tirati in ballo. Purtroppo. E la cosa mi fa incazzare.

In primis cosa notiamo in “False Cathedrals”? Beh, rispetto al predecessore “U.S. Songs” si lavora maggiormente sugli aspetti più malinconici e sui chiaro/scuro, con maggiore prevalenza agli aspetti dark, se così possiamo dire: tra la luce e l’oscurità  vince sempre quest’ultima, non c’è nulla da fare. L’esordio era in bilico tra l’emo più melodico ma anche graffianti pulsioni alt-rock, mentre nel secondo album ecco che la band apre maggiormente gli spazi e la musica si fa più ampia e avvolgente. Il piano occupa più spazio (sopratutto nei primi brani) e le linee musicali diventano più morbide e dilatate. Attenzione, non siamo ancora in quel campo post-rock che caratterizzerà  il terzo album “Song in the Air”, la band sa ancora essere fisica, rabbiosa e grintosa, ma sicuramente la sensazione spesso è proprio quella di apertura, di un indie-rock che non ci fa solo sbattere tra le pareti di una stanza ma che allarga i nostri orizzonti e la nostra sensibilità .

“Calm Americans” è il simbolo di quanto dicevo sopra. Un piano come linea guida, un drumming teso e nervoso, un cantato incisivo che varia in continuazione e un sogno in musica che ci accompagna, ipnotizzandoci, così come accade per quella delicata mareggiata che è “Blessed By Your Own Ghost”. “Drive On To Me” è un singolo con una melodia cristallina, accattivante e radiofonico, mentre “Calvary Song” potrebbe avvicinarsi ai Gloria Records. Ritmi bassi e improvvise impennate toccanti. La band non si svende, non cerca melodie immediate, ma lavora per entrare sottopelle e li restare, in modo costante. Come una medicina a rilascio prolungato.

“Lipstick Stigmata” è la canzone che segna un po’ la “riscossa” dei momenti più sonici, che, da questo brano in poi, si ritrovano più spesso, come se si fosse ricostruito un filo con il primo album. Canzone costruita in modo superbo, con un climax ascendente che lascia senza fiato: parte praticamente con la sola voce di Chris e finisce con il tripudio sonoro. “Shallow Like Your Breath” subisce lo stesso procedimento, con questo sonno tranquillo e dolce che poi diventa agitato e rabbioso nel finale. Drumming superlativo quello di “Superstitions in Travel” che accompagna il passaggio dall’acustico all’elettrico. “Lie Close” ci segnala che il feeling con i suoni di “U.S. Songs” c’è ancora. Canzone tirata e aggressiva, ma il cantato di Chris è superlativo nei suoi acuti e nel veleggiare alto, sopra le chitarre: magico il momento di passaggio con la voce che sembra dialogare con la batteria, per poi dare il via alle chitarre e piazzare un finalone, quasi shoegaze, esaltante.

Nel brano finale i nostri mettono tutte le carte sul tavolo: la pertenza lenta e struggente, la rabbia che sale, la creazione di un collegamento emotivo con chi ascolta, le chitarre pesanti che però disegnano trame melodiche, l’ottimo lavoro ritmico e la varietà  vocale di Chris. Una summa encomiabile di quello che erano gli Elliott in questo “False Cathedrals”.

Il termine “emo” non viene usato a sproposito questa volta. I testi depressi e votati alla solitudine di Chris richiedono la nostra vicinanza emotiva, il suo modo di cantarli poi è realmente da pelle d’oca. La band è pronta a fondere intuizioni e influenze, dando un senso di vitalità  che cattura e i crescendo della seconda parte del disco sono realmente capaci di trasmettere all’ascoltatore un altissimo livello di empatia. Un disco che anche a distanza di 20 anni è ancora ricco di fascino, capace di unire tanto chi apprezza il post-hardcore sia, ad esempio, i fan dei Radiohead di “The Bends” o “Ok Computer”.

Pubblicazione: 22 agosto 2000
Genere: Emo, Indie rock, Alternative rock
Lunghezza: 51:04
Label: Revelation Records
Produttore: Tobias Miller

1. “Voices”
2. “Calm Americans”
3. “Blessed by Your Own Ghost”
4. “Drive on to Me”
5. “Calvary Song”
6. “Lipstick Stigmata”
7. “Dying Midwestern”
8. “Shallow Like Your Breath”
9. “Superstitions in Travel”
10. “Carving Oswego”
11. “Lie Close”
12. “Speed of Film”