Tra la fine degli anni novanta e l’inizio del nuovo millennio, il termine britpop sembrava ormai desueto, con tanti gruppi assurti a simbolo del genere alle prese con cambiamenti di varia natura, stilistici e non solo. Che poi, a dirla tutta, si sa che spesso e volentieri quelle come britpop (o grunge, per citarne una coeva) sono etichette talvolta forzate, simili a un calderone dove far confluire tanti nomi. Una pratica che, a pensarci bene, al giorno d’oggi non ha più senso e che rende difficile, per i musicofili come me e come immagino siate voi lettori di Indie For Bunnies, provare a definire musicalmente il decennio in corso. Sempre che non si voglia associare la nostra epoca alla trap, è evidente che ormai la musica è fluida e multiforme, oltre che globalizzata, cosicchè è improbabile che possano fiorire le cosiddette scene, che tanto hanno dato alla storia del rock.

Chiudendo la parentesi e tornando agli albori degli anni zero, dicevo che il britpop aveva fatto il suo tempo e perso smalto, ma di band dalle parti d’Albione seguitavano a uscirne copiose e, al più, interessanti. Tra queste figuravano sicuramente i JJ72, un giovanissimo trio irlandese capitanato dal carismatico e assai talentuoso Mark Greaney.

Ancora studente, appena maggiorenne, e già  musicista provetto (studiò musica classica fin da bambino), capì che voleva investire molto di sè stesso attraverso la passione per le sette note. Il classico “annuncio” atto a reclutare musicisti con cui fondare un gruppo, magari affiggendolo nelle bacheche scolastiche, era per Greaney in fondo un esercizio pleonastico, visto che già  aveva una sua visione, un’idea di come doveva essere la sua creatura. Si rivolse così dapprima a Fergal Matthews, abile alla batteria, che come lui frequentava la scuola di gesuiti a Dublino e poi i due chiesero all’affascinante e misteriosa Hilary Woods di unirsi a loro nel neonato progetto. Il fatto che non avesse mai suonato il basso non era poi rilevante e ricordava da vicino l’ingresso di D’Arcy negli Smashing Pumpkins, uno dei gruppi di maggiore ispirazione del Nostro.

I JJ72 avevano nel suo leader il vero fulcro creativo, il golden boy capace di inanellare potenziali hit a getto continuo, ma lungi da me voler connotare negativamente questo suo talento compositivo (da subito, assieme a un pubblico crescente e al plauso della critica, ci furono anche parecchi detrattori che in primis mettevano in dubbio l’autenticità  della loro proposta).

Nel mettermi all’ascolto delle dodici tracce che compongono il primo disco omonimo, uscito esattamente vent’anni fa, a colpirmi furono proprio l’intensità  interpretativa di quel ragazzo e le musiche asciutte, dirette ma alla bisogna ben elaborate, che creavano una vasta gamma di atmosfere.

E’ vero, le influenze erano evidenti, oltre che dichiarate, in artisti come Ian Curtis o, rimanendo alla loro attualità , alle esperienze di gruppi come i Manic Street Preachers (di cui si ritrovarono come opener band in varie occasioni), Suede o i connazionali U2 (quelli della fase giovanile). Potevano ricordare anche i Placebo, vista la particolare voce androgina comune a entrambi i cantanti. Ma al di là  di queste considerazioni, trovare un esordio così compiuto, coeso e maturo, in artisti che potevano tranquillamente essere bollati come teenager, non era affatto facile o scontato. E i media, il pubblico e gli stessi colleghi musicisti, anche celebri, seppero fiutare il nuovo fenomeno, seguendo con grande interesse la crescita dei tre irlandesi.

Se è vero che un primo successo giunse sin dal singolo apripista “October Swimmer” (poi posta a inizio scaletta nel disco), la conferma della bontà  del progetto si ebbe di volta in volta con gli altri estratti, tutti dall’ottimo potenziale radiofonico e di facile presa (non solo per gli adolescenti), quali l’orecchiabile “Snow”, la ritmata “Long Way South”, in odor di Joy Division o la trascinante “Oxygen”. Nel mezzo però ci sono incursioni in territori più placidi, come nell’acustica e malinconica “Willow”, forte di un prezioso arrangiamento d’archi o nella dolente ballata “Not Like You”, ma in genere sono più i momenti forti ed elettrizzanti a caratterizzare questo lavoro, vedi le sferzate post punk di “Surrender” o la cavalcata psych rock di “Algeria”.

Tante belle intuizioni, premiate da ingenti vendite soprattutto nella natia Irlanda e in Inghilterra, non furono del tutto corroborate da un seguito, giunto da lì a due anni al termine di un estenuante tour che mise in crisi i rapporti interni (con i saluti alla Woods, sostituita in corsa da Sarah Fox): “I To Sky” mostra infatti un approccio diverso, più mite e riflessivo, ancora più incentrato sulle emozioni e il vissuto di Mark Greaney, quasi fosse un disco solista mascherato.

Peccato, perchè poi sul gruppo calò repentinamente il sipario, con il burrascoso scioglimento annunciato nel 2006 in un freddo comunicato stampa. Rimarrà  però negli annali questo fulgido disco, capace di brillare come una meteora, definizione che ben si addice anche agli stessi JJ72.

JJ72 ““ JJ72
Data di pubblicazione: 28 agosto 2000
Tracce:  12
Lunghezza: 48:51
Etichetta: Lakota Records
Produttore: Ian Caple

Tracklist
1. October Swimmer
2. Undercover Angel
3. Oxygen
4. Willow
5. Surrender
6. Long Way South
7. Snow
8. Broken Down
9. Improv
10. Not Like You
11. Algeria
12. Bumble Bee