Il viaggio degli Ulver nei meandri del synthpop prosegue con le otto tracce di “Flowers Of Evil”, un album cui spetta il non semplice compito di raccogliere l’eredità  di quel “The Assassination of Julius Caesar” che, appena tre anni fa, ben impressionò critici e fan.

Il lungo vagabondare tra sonorità  neofolk, black metal e trip hop deve aver lasciato con il fiatone la band norvegese. Questo nuovo disco, a differenza di quanto ascoltato precedentemente, colpisce in maniera negativa per la totale mancanza di sorprese ““ o, per meglio dire, pulsioni sperimentali volte a imprimere un briciolo di personalità  a un genere musicale tanto antiquato.

L’impressione è che Kristoffer Rygg e compagni abbiano in qualche modo gettato la spugna, dopo aver dato mostra in molteplici occasioni di un’originalità  fuori dal comune. E invece qui ci si limita a fare il verso ai Depeche Mode: gli Ulver li scopiazzano in ogni singola virgola, recuperando quei caratteristici toni dark ed eleganti che, quasi magicamente, si sposano alla perfezione con ritornelli degni di una hit radiofonica. I brani di “Flowers Of Evil” non sono altro che versioni meno dense e più quadrate di quelli contenuti nel già  citato “The Assassination of Julius Caesar”, dove a farla da padrone era una tensione creativa che oggi sembra essersi definitivamente persa per strada.

Tanta classe e poca sostanza: questi Ulver suonano così superficiali, innocui e anonimi da rasentare la muzak che fa da sottofondo ai negozi di abbigliamento in stile Zara.  E per qualche strano motivo mi hanno fatto tornare in mente i The Beloved di “Sweet Harmony” ““ una delizia rispetto a quanto ascolterete in questi sterili trentotto minuti di pretenziosissimo synthpop. Un vero peccato, perchè il lavoro svolto in cabina di regia dai produttori ““ Martin “‘Youth’ Glover, bassista dei Killing Joke, e Michael Rendall ““ è davvero eccellente. Speriamo in una nuova collaborazione con gli Ulver, possibilmente più fruttuosa di questa.

Credit Foto: Ingrid Aas